Il dipinto, splendido esempio della ritrattistica di Pietro da Cortona, rappresenta il marchese Marcello Sacchetti, primo protettore dell’artista a Roma, ed è confluito nella collezione Borghese nel primo Ottocento, tramite acquisto del principe Camillo presso il mercante d’arte Pietro Camuccini. L’opera è stata concepita a pendant del Ritratto di Giulio Sacchetti, di stesse dimensioni e affine dal punto di vista compositivo. I due ritratti, tuttavia, hanno avuto destini differenti e sono stati ricongiunti in Galleria Borghese solo nel 2016.
‘600 (con buccellato) cm. 157,5 x 125 x 11
Roma, collezione Sacchetti, 1626 ca.; Roma, collezione Barberini, 1644; Roma, collezione Pietro Camuccini, 1813-1814. Acquisto del principe Camillo Borghese da Pietro Camuccini, ante 1832; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 9, n. 25. Acquisto dello Stato, 1902.
Un documento datato 2 agosto 1630 attesta il pagamento a Pietro da Cortona (Pietro Berrettini) per una serie di quadri, compresi “dieci ritratti di casa Sacchetti”; tra questi dovevano essere inclusi anche il Ritratto di Marcello Sacchetti, qui esaminato, e quello a pendant del fratello Giulio (Guarino 1997a, p. 320, n. 25; Id. 1997b, p. 31), recentemente ricongiunti grazie alla donazione di quest’ultimo alla Galleria Borghese da parte della Fondazione Giulio e Giovanna Sacchetti. I due fratelli, discendenti romani di una ricca famiglia fiorentina, ebbero un ruolo di primo piano nella vita politica ed artistica di Roma sotto il pontificato di Urbano VIII Barberini e favorirono l’affermazione del giovane Cortona, trasferitosi da Firenze nel 1612 circa.
I ritratti a pendant ebbero una storia collezionistica diversa, da cui derivò la perdita del loro originario rapporto, ricostruito solo nel corso del Novecento: se infatti il ritratto di Giulio (inv. 608) rimase proprietà della famiglia Sacchetti fino al 2016, anno della suddetta donazione, quello di Marcello confluì prima nella collezione Barberini, in cui risulta almeno dal 1644 (Aronberg Lavin 1975, pp. 178, 304, 433; Herrmann Fiore 1992, p. 41), e poi in quella Borghese, dove è attestato a partire dall’Inventario fidecommissario del 1833. Recenti scoperte hanno permesso di circostanziare l’ingresso del quadro in collezione, avvenuto tramite l’acquisto di Camillo Borghese dal mercante d’arte Pietro Camuccini, il quale lo aveva comprato dai Barberini intorno al 1813-1814. Il dipinto è infatti identificabile nel registro commerciale di Camuccini, alla voce “225. Ritratto di Uomo Originale di Pietro da Cortona […] Tela Alto P. 6 Largo P. 4 ½ […] Luigi 40/60/100 venduto al P.pe Borghese Scudi Duecento Venti” (Puddu 2018, pp. 838-839).
Dopo il passaggio nella raccolta Borghese, il Ritratto di Marcello Sacchetti fu ingrandito per accostarlo al Ritratto di Monsignor Clemente Merlini dipinto da Andrea Sacchi (inv. 376), anch’esso acquistato presso Camuccini, che differiva dall’opera di Cortona per circa trentacinque centimetri in larghezza e cinque in altezza. Nel già citato inventario del 1833 l’opera è infatti descritta con le misure risultanti da questo ampliamento: “Ritratto di Pietro da Cortona, largo palmi 6, oncie 1; alto palmi 6, oncie 9”.
La tela, che in versione maggiorata aveva perso il suo andamento verticale in favore di un formato pressoché quadrato, fu restaurata nel 1931 e in tale occasione riportata alle sue dimensioni originarie, identiche a quelle del Ritratto di Giulio Sacchetti.
Il legame tra i due dipinti risulta evidente anche da una generale affinità compositiva: l’uno abbigliato in nero con il collo e i polsini di pizzo bianco, l’altro in abito cardinalizio, gli effigiati sono entrambi rappresentati in piedi, in posizione speculare e con lo sguardo rivolto allo spettatore. Marcello tiene nella mano sinistra un fazzoletto, mentre la destra è appoggiata su un tavolo di marmo con la base in legno dorato riccamente decorata e recante lo stemma dei Sacchetti. In maniera del tutto analoga, anche Giulio poggia la mano su un tavolo, o meglio sul libro aperto postovi sopra insieme a un calamaio, e presenta lo stesso motivo del fazzoletto.
Molto suggestiva appare l’ipotesi avanzata in anni recenti da Tomaso Montanari (2019, pp. 17-18), secondo il quale i due dipinti potrebbero far parte di un trittico completato dal Ritratto di Urbano VIII (Roma, Pinacoteca Capitolina), anch’esso realizzato dal Berrettini su commissione dei Sacchetti. Si tratterebbe di una ripresa della formula raffaellesca adottata nel Ritratto di Leone X con i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi (Firenze, Uffizi), successivamente sperimentata anche da Tiziano nel Ritratto di Paolo III con i nipoti Alessandro e Ottavio Farnese (Napoli, Museo di Capodimonte). Cortona potrebbe quindi aver riproposto tale formula in tre quadri distinti, prevedendo di affiancare i ritratti di Marcello e Giulio, opportunamente rappresentati in piedi, a quello del pontefice seduto. D’altro canto il richiamo a Raffaello è evidente nel motivo del fazzoletto, citazione dal Giulio II (Londra, National Gallery), ma anche nel libro e nel calamaio, che rinviano nuovamente al Leone X.
Nel 1859, il Ritratto di Marcello Sacchetti venne catalogato come una rappresentazione di Giuseppe Ghislieri, appartenente alla stirpe di papa Pio V, probabilmente a causa della somiglianza tra i rispettivi stemmi di famiglia. L’errore si è protratto fino al 1937, quando Ellis K. Waterhouse (p. 57) ha proposto la corretta identificazione dell’effigiato, facendo così riemergere il legame con il ritratto del fratello cardinale. Lo studioso ha inoltre segnalato presso la famiglia Sacchetti uno studio della sola testa per questo ritratto, ritenuto non autografo da Giuliano Briganti (1982, p. 174, n. 19).
La datazione dei due ritratti è ricondotta al 1626 circa in considerazione delle importanti nomine ricevute dai due fratelli: Marcello divenne depositario e tesoriere della Camera Apostolica nel 1623, mentre Giulio fu nominato cardinale tre anni dopo. Il 1626 rappresenta quindi il termine post quem almeno per l’esecuzione del ritratto di Giulio, rappresentato con la veste cardinalizia, ed è dunque verosimile che anche quello di Marcello, senza dubbio concepito contestualmente, sia riconducibile allo stesso periodo. Tale cronologia si accorda anche all’età dimostrata dai due fratelli, all’epoca circa quarantenni, nei rispettivi ritratti (Briganti cit., pp. 173-175, nn. 18-19; Testa 1991, pp. 118-119, nn. 19-20; Montanari, cit.).
Pier Ludovico Puddu