Resurrezione di Lazzaro
(Verona 1578 - Roma 1649)
Con ogni probabilità il dipinto venne acquistato direttamente da Scipione Borghese nel 1617, anno in cui il nobile cardinale firmò alcuni pagamenti in favore di Alessandro Turchi per delle opere non meglio precisate ma tradizionalmente identificate dalla critica con questa Resurrezione di Lazzaro, il Cristo morto con la Maddalena e gli angeli (inv. 499) e il Cristo nel sepolcro (inv. 307). Queste pitture, infatti, sono state tutte ricollegate alla prima attività del pittore a Roma, dove lavorò in diversi cantieri borghesiani come nel Palazzo del Quirinale e nel Casino del Barco della villa Pinciana.
Il soggetto, tratto dalla Bibbia, rappresenta la resurrezione di Lazzaro e raffigura il preciso istante in cui Cristo, di fronte al sarcofago di Lazzaro, esclamò "Lazzaro, vieni fuori!” (Vangelo di Giovanni 11, 43).
Scheda tecnica
Inventario
Posizione
Datazione
Tipologia
Periodo
Materia / Tecnica
Misure
Cornice
Cornice ottocentesca decorata con quattro palmette angolari (cm 58,5 x 48 x 4,3).
Provenienza
(?) Roma, acquisto di Scipione Borghese, 1617 (Della Pergola 1955); Roma, collezione Borghese, 1650 (Manilli 1650); Inventario 1790, Stanza IV, n. 44; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 23. Acquisto dello Stato, 1902.
Mostre
- 1959 Venezia, Ca' Pesaro;
- 1974 Verona, Palazzo della Gran Guardia;
- 1999 Verona, Museo di Castelvecchio;
- 2001 Roma, Palazzo Venezia;
- 2001 Londra, Royal Academy;
- 2011 Illegio, Casa delle Esposizioni;
- 2014 Venezia, Galleria dell'Accademia.
Conservazione e Diagnostica
- 1996-1997 Paola Tollo, Carlo Ceccotti.
Scheda
Il dipinto è segnalato per la prima volta in collezione Borghese nel 1650, descritto da Iacomo Manilli come "il quadretto di Lazzaro resuscitato, dipinto in Paragone, è d'Alessandro Veronese". Tale nome, mutato successivamente con quello dei Carracci - Ludovico nell'inventario del 1790, Agostino negli elenchi fedecommissari del 1833 - fu riesumato a ragione da Adolfo Venturi (1893) ed accolto sia da Roberto Longhi (1928), sia da Paola della Pergola che nel 1955 datò il dipinto al 1618. Secondo la studiosa, infatti, l'opera fa parte di quel gruppo di pitture eseguite dal pittore per Scipione Borghese e da questi pagate nel 1617; parere accolto senza riserve da tutta la critica (si veda da ultimo Scaglietti Kelescian 2019).
Secondo Daniela Scaglietti Kelescian (1974), quest'opera testimonia il forte impatto avuto dal pittore con la cultura caravaggesca romana che qui emerge con una certa prepotenza grazie anche alla scelta del supporto usato - una lavagna nerissima e lucente - che ben accoglie le figure realizzate dall'Orbetto sulla scia delle sperimentazioni artistiche condotte in quegli anni da Carlo Saraceni, da Gerrit van Honthorst e da numerosi pittori francesi presenti a Roma. Turchi, infatti, unendo tale esperienza con quanto appreso presso la bottega del suo maestro, Felice Brusasorzi, realizzò nell'Urbe una nutrita serie di composizioni di piccolo formato, caratterizzate da un caravaggismo ‘chiaro’ e decorativo molto apprezzato dai suoi committenti, tra i quali non poteva certamente mancare l'insaziabile Scipione Borghese.
Antonio Iommelli
Bibliografia
- I. Manilli, Villa Borghese fuori di Porta Pinciana, Roma 1650, p. 106;
- G. Piancastelli, Catalogo dei quadri della Galleria Borghese, in Archivio Galleria Borghese, p. 181;
- A. Venturi, Il Museo e la Galleria Borghese, Roma 1893, p. 220;
- R. Longhi R., Galleria Borghese: il trio dei veronesi, in “Vita Artistica”, II, 1926, pp. 123-126;
- R. Longhi, Precisioni nelle Gallerie Italiane, I, La R. Galleria Borghese, Roma 1928, pp. 67-70, 224;
- C. Brandi, Disegno della pittura italiana, Torino 1930, pp. 491-492;
- A. De Rinaldis, La Galleria Borghese in Roma, Roma 1939, p. 25;
- P. della Pergola, La Galleria Borghese. I Dipinti, I, Roma 1955, p. 121, n. 218;
- P. della Pergola, L’Inventario Borghese del 1693 (III), in “Arte Antica e Moderna”, XXX, 1965, p. 210;
- C. Donzelli, G.M. Pilo, I pittori del Seicento veneto, Firenze 1967, p. 402;
- A. Moir, The Italian followers of Caravaggio, II, Cambridge 1967, p. 112;
- R. Longhi, Saggi e ricerche 1925-28. Precisioni nelle gallerie italiane. La Galleria Borghese, Firenze 1967, p. 355;
- D. Scaglietti Kelescian, in Cinquant’anni di pittura veronese: 1580 – 1630, catalogo della mostra (Verona, Palazzo della Gran Guardia, 1974), a cura di L. Magagnato, Verona 1974, p. 119;
- C. Faccioli, “L’Orbetto” pittore veronese a Roma, in “L’Urbe”, V, 1975, p. 16;
- R. Pallucchini, La pittura veneziana del seicento, II, Milano 1981, pp. 114, 116;
- P. Leone de Castris, R. Middione, La Quadreria dei Girolamini, Napoli 1986, p. 174;
- F. Cappelletti, in Caravaggio e la collezione Mattei, catalogo della mostra (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica, 1995), a cura di R. Vodret Adamo, Milano 1995, p. 158;
- D. Scaglietti Kelescian, in Alessandro Turchi detto l’Orbetto 1578-1649, catalogo della mostra (Verona, Museo di Castelvecchio, 2009), a cura di D. Scaglietti Kelescian, Milano 1999, pp. 103-103;
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- C. Volpi, Modelli estetici ed ispirazione poetica al tempo di Scipione Borghese: i casi di Ippolito Scarsella e di Alessandro Turchi, in I Barberini e la cultura europea del Seicento, atti del convegno (Roma, Palazzo Barberini, 2004), a cura di L. Mochi Onori, S. Schütze, F. Solinas, Roma 2007, p. 63;
- V. Mancini, Echi caravaggeschi a Venezia e nella terraferma, in I Caravaggeschi: percorsi e protagonisti, a cura di C. Strinati, A. Zuccari, I, Milano 2010, pp. 161-162;
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- D. Dossi, All’ombra di Scipione Borghese: Alessandro Turchi per Costanzo Patrizi e qualche altra precisazione, in "Arte Cristiana", CI, 2013, p. 461;
- D. Scaglietti Kelescian (a cura di), Alessandro Turchi detto l’Orbetto 1578-1649, Verona 2019, pp. 143-144.