L’opera fu ceduta a Scipione Borghese dal suo precedente proprietario, un certo Martiniani, proprietario di una vigna adiacente alla tenuta Pinciana. Come la composizione con analogo soggetto di Alessandro Turchi detto l’Orbetto (inv. 506), questo quadretto fu eseguito su pietra e presenta persistenti motivi del tardo manierismo veronese, mediati dalla cultura pittorica romana di quel periodo, in particolare dalla produzione romana di Carlo Saraceni e Giovanni Lanfranco.
Il soggetto è ripreso dal Vangelo di Giovanni (11, 43) e rappresenta il preciso istante in cui Cristo, dopo aver pronunciato la celebre frase “Lazzaro, vieni fuori", assiste alla resurrezione dell'uomo, ritratto in procinto di uscire dal sepolcro tra l'incredulità degli astanti.
(?) Roma, collezione Scipione Borghese, 1614 (acquisto da un certo Martiniani; cfr. Della Pergola 1955); Roma, collezione Borghese, 1693 (Inventario 1693, Stanza XI, n. 96); Inventario 1790, Stanza VI, n. 23; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 32. Acquisto dello Stato, 1902.
Il dipinto è stato identificato con il quadro "[...] di due palmi incirca in Lavagna la resurrezione di Lazzaro del N. 652. Cornice d'ebbano, del Martiniani", così segnalato nell'inventario del 1693. Come per altre opere, il nome del proprietario, 'Martiniani', viene confuso con quello del pittore (cfr. Della Pergola 1955), errore corretto da Paola della Pergola (Ead.) che debitamente identifica il Martiniani con il primo possessore dell'opera, dimorante tra l'altro in una vigna confinante con la tenuta Borghese.
Nel 1790 il quadretto fu assegnato a Ludovico Carracci, attribuzione accettata in parte da Giovanni Piancastelli (1891) ma rifiutata da Adolfo Venturi (1893) che preferì parlare del veronese Alessandro Turchi detto l'Orbetto. Nel 1926 Roberto Longhi (1926; Id. 1928), sulla base del confronto con l'Assunta di Santa Maria in Vanzo e le opere della Cappella Pellegrini in San Bernardino di Verona, propose il nome di Pasquale Ottino, parere accolto positivamente da Paola della Pergola (1955) e da tutta la critica successiva, in particolare da Pietro Zampetti (1959), che avvicinò la figura di Cristo a quella di Gesù della Vocazione di Matteo di Caravaggio (Roma, San Luigi dei Francesi); e da Erich Schleier (1971) che associò al dipinto un disegno londinese (Madonna con il Bambino, coll. Gronan) fino ad allora ritenuto di mano dell'Orbetto.
Nel 1959, in occasione dell'importantissima mostra sulla pittura veneta, organizzata presso Cà Pesaro a Venezia, Zampetti rifiutò l'ipotesi di Paola della Pergola (1955) circa l'ingresso dell'opera in collezione Borghese nel 1614, poiché secondo lo studioso - seguito qualche anno dopo da Annamaria Calcagni Conforti (1974) - in quel periodo l'Ottino mostrava ancora una certa influenza veneto-emiliana non ravvisabile invece nella pittura in esame.
Il soggetto è ripreso dalla Bibbia (Vangelo di Giovanni 11, 43) e rappresenta il momento in cui Gesù assiste alla resurrezione di Lazzaro, dopo aver pronunciato la celebre frase “Lazzaro, vieni fuori". Come suggerito da Zampetti (1959), questa raffinata composizione su lavagna mostra diversi punti di contatto sia con la cultura lanfranchiana, sia con quella tardomanierista veneta, appresa nella bottega di Felice Brusasorci e qui declinata con gli esiti della pittura romana del secondo decennio del Seicento, in particolare con la produzione caravaggesca mediata dallo stile di Carlo Saraceni; un aggiornamento fatto dal pittore direttamente nell'Urbe, dove è documentato a partire dal 1609.
Antonio Iommelli