Il dipinto viene attribuito al Garofalo negli inventari della collezione a partire da XVII secolo. La tavola deriva da un’altra opera del Tisi, datata 1534, e conservata presso la Pinacoteca Nazionale di Ferrara. La straordinaria fortuna di tale soggetto, che costituisce il più diretto tributo del Garofalo alla 'maniera romana' e in particolare a Giulio Romano, trova conferma nella presenza in collezione di un'ulteriore replica, identica per formato e dimensioni.
Collezione di Scipione Borghese, Inventario 1620-1630, Stanza IV; Inventario 1693, Stanza II, n. 54; Inventario 1790, Stanza I, n. 28; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 11. Acquisto dello Stato, 1902.
La piccola tavola raffigurante il miracolo narrato nel Vangelo di Giovanni (11, 1-44) è presente nell’inventario Borghese datato intorno agli anni Trenta del Seicento, quando il dipinto viene descritto all’interno della stanza IV verso l’offitii come: «Un quadro in tavola di Lazaro resuscitato cornice negra et oro con fogliami, alto 2 largo 1. Garofano». L’attribuzione rimarrà invariata in tutti i documenti successivi ed è sicuramente uno dei dipinti ferraresi giunti in epoca abbastanza precoce nella raccolta di Scipione.
Adolfo Venturi (1893) considera le due opere di questo soggetto di scuola garofalesca presenti nella Galleria Borghese (oltre a quella in analisi, si deve esaminare l’inv. 243) come copie della Resurrezione di Lazzaro per la cappella del Santissimo Sacramento della famiglia Vincenzi della chiesa di San Francesco a Ferrara, oggi presso la Pinacoteca Nazionale della stessa città (inv. PNFe 153, Brisighella 1700-1735, ed. 1991). Questa superba tavola è ricordata anche da Giorgio Vasari, che nella sua vita dedicata al pittore la menziona come «piena di varie e buone figure, colorita vagamente, e con attitudini pronte e vivaci» (Vasari ed. Milanesi 1881, VI, p. 463). Sebbene questa osservazione corrisponda ad una oggettiva somiglianza compositiva fra i tre dipinti, in realtà sono i testimoni di una delle numerose varianti realizzate di questo soggetto dal Tisi, attestate da un disegno autografo conservato al Museé du Louvre (inv. 9069, Recto, Pouncey 1955).
La presenza della pala per San Francesco, datata 1534, e del disegno parigino hanno fatto pensare all’esistenza di un dipinto del Garofalo, da cui sarebbero state tratte queste due copie, che si configura come il punto di arrivo tra la primigenia composizione per la chiesa ferrarese e un attento studio grafico dedicato a tale soggetto evangelico (Tarissi de Jacobis 2002). Gli studi più recenti (Danieli 2008) ritengono l’opera autografa, non solo sulla base di una maggiore qualità della pittura già testimoniata dalla più antica letteratura (Manilli 1650; Plattner 1842; Baruffaldi 1844-1846), ma anche grazie al rinvenimento di una iscrizione in numeri romani che riporterebbe una data leggibile, nonostante la corruzione del testo, come 1543 o 1544. Una collocazione agli anni Quaranta del XVI secolo ben di confà allo stile che il Tisi aveva sviluppato proprio in quel decennio, pervaso soprattutto dall’influenza diretta di Giulio Romano (Fioravanti Baraldi 1993; Pattanaro 1995) nella fase di decorazione dell’ultima delle Stanze Vaticane, in particolare della Donazione di Costantino, che sembra essere citata alla lettera nella donne inginocchiate, negli astanti abbracciati e nell’albero sulla destra a cui si aggrappano gli increduli spettatori del miracolo.
Lara Scanu