Si tratta di una replica, identica per formato e dimensioni, della tavola documentata nella collezione del cardinale Scipione Borghese con l'attribuzione al Garofalo (inv. 238) e successivamente considerata opera di scuola. Il dipinto risulta registrato dagli inventari solo a partire dal 1790 e testimonia la fortuna goduta da tale soggetto, la cui versione più celebre è quella oggi esposta alla Pinacoteca Nazionale di Ferrara.
Collezione Borghese, Inv. 1693, Stanza IX, n. 478; Inventario 1790, Stanza II, n. 14; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 35. Acquisto dello Stato, 1902.
La piccola tavola raffigurante il miracolo narrato nel Vangelo di Giovanni (11, 1-44) è presente nell’inventario Borghese del 1693, quando il dipinto viene descritto come: «un quadro di tre palmi in tavola mezzovata da capo con la resurretione di Lazzaro del n. 70. Cornice dorata del Garofali». L’attribuzione rimarrà invariata in tutti i documenti successivi ad eccezione dell’elenco fidecommissario del 1833, in cui viene definita come «Scuola di Garofali».
Adolfo Venturi (1893) considera le due opere di questo soggetto di matrice garofalesca presenti nella Galleria Borghese (oltre a quella in analisi, si deve esaminare l’inv. 238) come copie della Resurrezione di Lazzaro per la cappella del Santissimo Sacramento della famiglia Vincenzi della chiesa di San Francesco a Ferrara, oggi presso la Pinacoteca Nazionale della stessa città (inv. PNFe 153, Brisighella 1700-1735, ed. 1991). Questa superba tavola è ricordata anche da Giorgio Vasari, che nella sua vita dedicata al pittore la menziona come «piena di varie e buone figure, colorita vagamente, e con attitudini pronte e vivaci» (Vasari ed. Milanesi 1881, VI, p. 463). Sebbene questa osservazione corrisponda ad una oggettiva somiglianza compositiva fra i tre dipinti, in realtà sono i testimoni di una delle numerose varianti realizzate di questo soggetto dal Tisi, attestate da un disegno autografo conservato al Museé du Louvre (inv. 9069, Recto, Pouncey 1955).
La presenza della pala per San Francesco, datata 1534, e del disegno parigino hanno fatto pensare all’esistenza di un dipinto del Garofalo, da cui sarebbero state tratte queste due copie, che si configura come il punto di arrivo tra la primigenia composizione per la chiesa ferrarese e un attento studio grafico dedicato a tale soggetto evangelico (Tarissi de Jacobis 2002). Gli studi più recenti (Danieli 2008) ritengono l’opera come una redazione successiva all’altra tavola in collezione Borghese, databile grazie rinvenimento di una iscrizione in numeri romani che riporterebbe una data leggibile, nonostante la corruzione del testo, come 1543 o 1544. Una collocazione agli anni Quaranta del XVI secolo ben di confà allo stile che il Tisi, e conseguentemente la sua scuola, aveva sviluppato proprio in quel decennio, pervaso soprattutto dall’influenza diretta di Giulio Romano (Fioravanti Baraldi 1993; Pattanaro 1995) nella fase di decorazione dell’ultima delle Stanze Vaticane, in particolare della Donazione di Costantino, che sembra essere citata alla lettera nella donne inginocchiate, negli astanti abbracciati e nell’albero sulla destra a cui si aggrappano gli increduli spettatori del miracolo.
Lara Scanu