Il basamento, posto a sostegno della statua di Ecate tricorpore (inv. CXC), è ricordato nella sala VIII nel 1832 e nella sala VI nel 1841 dal Nibby. La scultura, fortemente restaurata, è decorata sulla fronte dalla figura di una Vittoria alata e sui lati da quelle di due offerenti con corona e vaso. Il lato posteriore presenta un rilievo raffigurante un terzo offerente applicato, probabilmente, in un intervento moderno.
Per il pilastro è stata avanzata un’ipotesi di pertinenza all’Arco di Lucio Vero del 166 d.C. insieme ad altri due analoghi conservati nella chiesa dei Santi Nereo e Achilleo sulla via Appia. I notevoli interventi di restauro non consentono un’adeguata disamina della scultura che si inquadra indicativamente nel II secolo d.C.
Collezione Borghese, citata per la prima volta nella sala VIII dal Nibby nel 1832 (p. 122); Inventario Fidecommissario Borghese (1833, C., p. 54, n. 192). Acquisto dello Stato, 1902.
I rilievi decorano le facce anteriore e laterali di un basamento oggi a sostegno della statua di Ecate tricorpore (inv. CXC). Nel lato posteriore è presente la figura di un offerente con berretto frigio che sorregge una corona vegetale, pertinente probabilmente a un contesto differente da quello dei rilievi degli altri tre lati e inserito in un intervento di restauro. Nel riquadro anteriore è raffigurata una Vittoria alata che sostiene con la mano destra l’asta di un trofeo, visibile al di sopra della spalla sinistra. La figura, in rapido movimento, è volta verso destra; la gamba destra avanza leggermente, indirizzata verso il lato esterno destro mentre la sinistra, dal piede sollevato, asseconda il movimento. Indossa un chitone e un himation, il mantello, che adagiato sull’avambraccio destro corre dietro la figura, sostenuto in alto dal braccio sinistro sollevato. La veste, dal ricco plasticismo, appare fluttuante.
Sul lato destro è raffigurato un giovane senza barba con un berretto frigio sul capo che avanza verso il riquadro con la Vittoria alata, a sinistra. Indossa un’ampia e lunga tunica manicata, stretta in vita da una cintura; ai piedi calza degli stivali. Il mantello, gonfio dietro la schiena in un’ampia piega, è trattenuto dalle braccia tese che sostengono un kantharos, un cratere, decorato in rilievo.
La figura maschile del lato sinistro riproduce simmetricamente il medesimo movimento verso la Vittoria. Indossa anch’egli un berretto frigio sul capo e sul viso presenta una folta e lunga barba. La tunica, stretta da una cintura in vita e terminante al ginocchio, mostra uno spacco laterale fino alla sommità della coscia. Il mantello, allacciato sulla spalla destra, cade dietro la schiena e nasconde le braccia tese. Le mani, coperte dalla stoffa, sorreggono una corona di rami di alloro legati da una fascia decorata al centro da un busto clipeato, inserito in un medaglione.
I tre riquadri presentano forti rimaneggiamenti moderni, avvenuti probabilmente in occasione dell’allestimento ottocentesco del basamento nella villa. Risultano di restauro, sulla fronte: la cornice superiore, la parte superiore delle gambe della figura femminile con il relativo panneggio, la spalla sinistra, il collo e la testa; sul lato sinistro: la cornice superiore e parte del fondo, la gamba destra, la spalla destra e la testa con parte del copricapo; sul lato destro: la gamba sinistra fino all’anca con il relativo panneggio, il ginocchio, e la coscia destra e gran parte della testa. Il Nibby menziona il basamento collocato nella sala VIII nel 1832 e nella sala VI nel 1841 (p. 122; p. 922, n. 7).
Nel 1911 il Bienkowski, riprendendo lo studio di Albrecht Dieterich del 1902 sull'origine del racconto evangelico dell'adorazione dei Magi, individua nelle figure dei rilievi Borghese "un romano prototipo” di tale adorazione, soggetto ampiamente sviluppato nell’arte cristiana. Lo studioso, nella sua attenta disamina, riconosce nel detentore della corona a sinistra un sacerdote di Attis, e nel portatore di vaso a destra un sacerdote persiano o siriano. Il basamento marmoreo ricorderebbe l'arrivo a Roma sotto Nerone di Tiridate e della sua scorta di magi nel 66 d.C. con i doni che il re d'Armenia offrì all'imperatore in segno di vassallaggio. A suo parere, l’evento avrebbe ispirato i versetti del Vangelo relativi all'adorazione dei Magi. L’iconografia sarebbe stata ripresa nella primitiva arte cristiana per trasmettere la storia di Matteo. Egli, inoltre, per ragioni stilistiche, individua una datazione al I secolo d.C., osservando, in particolare, la mancanza dell’uso del trapano nella resa delle pupille (1911, pp. 45-56). Tale inquadramento cronologico è successivamente condiviso dall’Amelung (p. 246, n. 1555). Di diverso parere è il Cumont che non riconosce dei sacerdoti orientali nelle figure e scorge, invece, una stretta somiglianza con due basamenti collocati durante i restauri del 1597 nella chiesa dei Santi Nereo e Achilleo, sulla via Appia. Lo schema decorativo di tali sculture mostra una composizione analoga a quella Borghese, con figure di offerenti sui lati, dirette verso una Vittoria raffigurata sulla fronte. La faccia posteriore risulta liscia, come doveva apparire quella Borghese prima degli interventi di restauro. L’autore propone, per le tre basi, una pertinenza alla decorazione architettonica dell’Arco di Lucio Vero, eretto, probabilmente, sulla via Appia per commemorare la vittoria sui Parti, nel 166 d.C. (1932-1933, pp. 88-89, tav. I, 1-2, II, 1).
L’esiguità delle parti antiche conservate non permettono una lettura puntuale della scultura originaria che sembra potersi inquadrare nel II secolo d.C.
Giulia Ciccarello