Rinaldo e Armida
(Bologna 1577 - 1668)
L’opera, per lungo tempo erroneamente identificata con quella lasciata in legato a Scipione Borghese dal cardinale Alessandro d’Este nel 1624 (Lille, Musée des Beaux-Arts, inv. 27), è citata per la prima volta nella Villa Pinciana da Iacomo Manilli nel 1650. Raffigura uno dei più famosi temi d’amore della Gerusalemme Liberata (1581) di Torquato Tasso. Nel dipinto il cavaliere Rinaldo, sedotto dalla maga Armida, dorme nel carro fatato che la donna sta guidando. Appeso sulla destra è lo specchio, grazie al quale Rinaldo metterà fine all’incantesimo dopo aver visto la sua immagine riflessa.
Scheda tecnica
Inventario
Posizione
Datazione
Tipologia
Periodo
Materia / Tecnica
Misure
Provenienza
Roma, collezione Borghese, 1650 (Manilli 1650, p. 80); Inventario 1790, Stanza IV, n. 46; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 22. Acquisto dello Stato, 1902.
Mostre
- 1985 Ferrara, Castello Estense e Casa Romei
- 1992 Roma, Palazzo delle Esposizioni
- 2023-2024 Shanghai, Museum of Art Pudong
Scheda
Resta ignota la provenienza del dipinto, ricordato da Iacomo Manilli in collezione Borghese nel 1650, come opera di Alessandro Tiarini. Malvasia (1678), nella biografia dedicata al pittore bolognese, cita il quadro riportandone un’accurata descrizione in parte ripresa da Manilli: “e nella vigna similmente Borghese nella quarta stanza a basso quel Rinaldo intero che dorme, e Armida che l’elmo suo porge ad una donna, capriccioso di scorciabili al solito, e conservatissimo, per la già considerata ragione d’aver egli sempre fatto il letto alle figure, lavorato di corpo e tornatele a ricoprire”. Successivamente si perde memoria dell’antica testimonianza e nell’inventario del 1790 l’opera compare sotto il nome di Pietro da Cortona. Nell’inventario fidecommissario del 1833 e nel catalogo compilato da Piancastelli (1891) il dipinto è indicato come di ignoto artista bolognese. Si deve a Venturi (1893) il merito di aver restituito al suo autore la paternità dell’opera, che Longhi (1928) considerava appartenente alla fase giovanile di Tiarini. Della Pergola, smentendo le annotazioni di Campori sull’inventario del cardinale Alessandro d’Este (1870, pp. 59, 70), lo identificava con il dipinto da questi lasciato in legato nel 1624 a Scipione Borghese, ipotesi in seguito ripresa anche da Lugli (1985), seguita da Guarino (1992) e da Negro e Roio (2000). Nel 1998 Loire (cfr. anche 2002) ha chiarito la questione, proponendo di identificare con il dipinto proveniente dalla raccolta di Alessandro d’Este il Rinaldo impedisce ad Armida di uccidersi conservato presso il Musée des Beaux-Arts de Lille (inv. 27) e non il quadro Borghese, ricostruzione condivisa dalla critica successiva, in particolare Guelfi (2001) e recentemente Scanu (2023). Come ha notato quest’ultima, infatti, l’opera non risulta all’interno dell’inventario più antico della raccolta del cardinale Scipione, databile alla seconda metà degli anni Venti (Corradini 1998).
Il soggetto è tratto dalla Gerusalemme Liberata di Tasso, “un testo con il quale Tiarini ebbe modo di misurarsi in svariate occasioni” (Benati 2001, p. 202). Come notato da Benati (ibid.), l’accurata lettura dell’immagine offerta da Lugli (1985), consente di cogliere i numerosi particolari inseriti dall’artista per visualizzare l’episodio narrato da Tasso, ovvero quello in cui Armida trasporta il guerriero cristiano addormentato nel proprio palazzo incantato trainandolo su un cocchio (Torquato Tasso, Gerusalemme Liberata, canto XIV, ottava 68). Mentre Rinaldo dorme di un profondo sonno magico, già legato al carro con lacci di fiori, la maga si rivolge ad un’ancella che tiene in mano l’elmo del giovane, sormontato da un’aquila con le ali spiegate.
Sul piano stilistico, dopo che Longhi la giudicava un’opera giovanile, Lugli (1985) suggeriva una datazione intorno al 1620, proposta condivisa da Guarino (1992) e da Negro e Roio (2000). Guelfi (2001), dal canto suo, metteva in evidenza caratteristiche quali il preziosismo e l’utilizzo di forti contrasti chiaroscurali, posticipando la data d’esecuzione alla seconda metà degli anni Venti del Seicento. Scanu (2023) ha accostato il dipinto a un’altra opera di Tiarini di soggetto tassiano in collezione BPER (cfr. Benati 1987, pp. 98-101, n. 23), databile entro la metà del terzo decennio.
Elisa Martini
Bibliografia
- I. Manilli, Villa Borghese fuori di Porta Pinciana, Roma 1650, p. 80
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- D. Benati, in Banca Popolare dell’Emilia Romagna. I dipinti antichi, a cura di D. Benati, L. Peruzzi, Modena 1997, 76
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- B. Guelfi, in D. Benati, Alessandro Tiarini: l’opera pittorica completa e i disegni, 2 voll., Milano 2001, II, pp. 83-85, n. 139
- S. Loire, in Alessandro Tiarini: la grande stagione della pittura del ’600 a Reggio, catalogo della mostra (Reggio Emilia, Palazzo Magnani e Chiostri di San Domenico, 23 marzo-16 giugno 2002), a cura di D. Benati, A. Mazza, Milano 2002, pp. 148-149, n. 46
- K. Herrmann Fiore, Museo e Galleria Borghese. Roma scopre un tesoro. Dalla pinacoteca ai depositi un museo che non ha più segreti, San Giuliano Milanese 2006, p. 17
- L. Scanu, Rifar Ferrara in Roma: arte e diplomazia alla corte di Alessandro d’Este, Roma; Napoli 2023
- G. Campori, Raccolta di cataloghi ed inventari inediti, Modena 1870, pp. 59, 70
- S. Corradini, Un antico inventario della quadreria del Cardinal Borghese, in Bernini scultore. La nascita del barocco in Casa Borghese, catalogo della mostra (Roma, Galleria Borghese, 1998), a cura di A. Coliva, S. Schütze, A. Campitelli, Roma 1998, pp. 449-456