Attestato in collezione Borghese solo a partire dall’Ottocento, il dipinto è stato assegnato dalla critica al pittore fiorentino Francesco di Cristofano noto come Il Franciabigio. L’artista, legato in particolare ai modi di Andrea del Sarto col quale aveva stretto un proficuo sodalizio, mostra qui una sua autonomia artistica, dettata perlopiù dalla semplificazione della composizione.
L'opera raffigura il matrimonio mistico di santa Caterina d’Alessandria, qui ritratta mentre sta per ricevere l’anello da Gesù Bambino alla presenza della Vergine; accanto a lei, la ruota dentata e la palma, simboli del suo martirio.
Salvator Rosa cm 95 x 68,5 x 6,7
1833 (Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 21: Della Pergola 1959). Acquisto dello Stato, 1902
La provenienza di quest'opera rimane ignota. La tavola, infatti, è documentata per la prima volta in collezione Borghese solo a partire dal 1833, elencata in tale occasione dall'estensore del Fidecommisso come "Madonna col Bambino, scuola di Raffaello" (Inv. Fid. 1833).
L'attribuzione alla scuola raffaellesca, ripetuta da Giovanni Piancastelli (1891), fu rivista da Giovanni Morelli che nel 1897, rifacendosi a un giudizio del Bode (in Burckhardt 1893), parlò del Franciabigio. Tale nome, respinto da Giovanni Battista Cavalcaselle (1914) che dal canto suo riferì il quadro a Giuliano Bugiardini - seguito poco dopo da Adolfo Venturi (1893), da Bernard Berenson (1909) ma non da Giulio Cantalamessa (1912) - fu invece accettato sia da Roberto Longhi (1928), sia dal Berenson (1936), il quale rivide il suo primo giudizio espresso a favore del Bugiardini.
Nel 1959, in occasione della pubblicazione del catalogo dei dipinti della Galleria Borghese, Paola della Pergola confermò la paternità della tavola al Franciabigio, riconoscendovi però molte parti probabilmente incompiute. La studiosa, inoltre, accostò questo Sposalizio alla Madonna col Bambino di Vienna (Kunsthistorisches Museum, inv. 195), con la quale la composizione Borghese condividerebbe diversi dettagli, come la tenda verde sul fondo, i tratti fisionomici della Vergine e i toni aspri della tavolozza. Secondo Fiorella Sricchia Santoro (1963) questi elementi mostrerebbero un evidente rapporto con la pittura di Andrea del Sarto, elaborati tuttavia dal pittore fiorentino in maniera del tutto autonoma e alquanto sobria, come dimostrerebbero il piccolo padiglione alle spalle della Vergine e il mantello al braccio di Caterina d'Alessandria che qui esauriscono tutta la loro funzione ornamentale. Tale minore complessità, forse dovuta allo stato di incompiutezza già evidenziato da Della Pergola, fu sottolineata anche da Susan R. Mc Killop (1974); a detta della studiosa, infatti, la tavola fu realizzata in tutta fretta intorno al 1519 quando, da poco iniziata l'opera, l'artista si dedicò a un progetto più importante quale la parete con il Trionfo di Cicerone della villa medicea di Poggio a Caiano.
Di certo, al di là di questa affascinante ipotesi tutta da dimostrare, il dipinto mostra quel sartismo aspro e a tratti più naturale, caratteristico della produzione del Franciabigio degli anni Venti del Cinquecento. Ciò è quanto, ad esempio, emerge in alcune delle sue composizioni, tra le quali spicca la Testa giovanile di Torino (Biblioteca Reale, inv. 15777) a lui debitamente riferita dalla Forlani Tempesti (in Il primato del disegno 1980), caratterizzata da una linea fortemente rimarcata che dona al volto una certa pesantezza.
Antonio Iommelli