Il dipinto rappresenta Giulio Sacchetti in veste cardinalizia e fu eseguito da Pietro da Cortona nel 1626 circa, proprio in occasione dell’elevazione alla porpora dell’effigiato. Nello stesso contesto l’artista eseguì anche il ritratto a pendant di Marcello Sacchetti, suo primo mecenate e fratello di Giulio, confluito nella collezione Borghese all’inizio dell’Ottocento. Il ritratto del cardinale, rimasto sempre presso la famiglia Sacchetti, è stato donato alla Galleria dalla Fondazione Giulio e Giovanna Sacchetti nel 2016 allo scopo di ricostituire il pendant secondo l’originaria concezione di Cortona.
Il Ritratto di Giulio Sacchetti è stato eseguito da Pietro da Cortona (Pietro Berrettini) in occasione della nomina dell’effigiato a cardinale, avvenuta nel 1626 sotto il pontificato di Urbano VIII. La scelta del Berrettini per l’esecuzione di questo ritratto celebrativo non fu casuale, dato che l’artista toscano gravitò nell’orbita dei Sacchetti fin dal suo arrivo a Roma intorno al 1612, e in particolar modo Marcello, fratello di Giulio, ebbe un ruolo importante nell’ambito della sua affermazione artistica in città.
Allo stesso contesto va certamente riferito il Ritratto di Marcello Sacchetti (inv. 364), pendant di quello di Giulio, e forse, secondo una suggestiva ipotesi di Tomaso Montanari (2019, pp. 17-18), anche quello di Urbano VIII (Roma, Pinacoteca Capitolina) eseguito dallo stesso artista sempre su commissione dei Sacchetti, i quali godevano di ampio favore da parte del papa Barberini. Lo studioso avanza la possibilità che i dipinti siano stati elaborati come una sorta di trittico così composto: al centro l’immagine del pontefice, rappresentato seduto, e ai lati quella dei due fratelli, ritratti in piedi e rivolti in direzione speculare l’uno rispetto all’altro.
Se così fosse, Cortona avrebbe concepito i tre ritratti sulla falsariga di un celebre modello raffaellesco, il Ritratto di Leone X con i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi (Firenze, Uffizi), la cui formula aveva ispirato anche Tiziano nel Ritratto di Paolo III con i nipoti Alessandro e Ottavio Farnese (Napoli, Museo di Capodimonte). Nella ripresa cortonesca, l’idea di rappresentare il papa affiancato da nipoti e favoriti sarebbe dunque stata sviluppata in tre quadri distinti piuttosto che in un’unica immagine. Se l’ipotesi del trittico, seppur convincente, non risulta per il momento verificabile, lo stretto legame fra i due ritratti dei Sacchetti è invece dimostrato sia dalla corrispondenza delle dimensioni, sia dalle analogie compositive che li caratterizzano: i personaggi sono ripresi di tre quarti, ambedue con lo sguardo diretto verso lo spettatore. Entrambi tengono un fazzoletto nella mano sinistra e poggiano la destra sul tavolo che si trova al loro fianco, visibile solo per una porzione fino al margine della tela, elemento che rimanda alle rispettive cariche e personalità: in particolare nel caso di Giulio, ritratto in abito cardinalizio, sul tavolo sono presenti gli attributi del libro aperto e del calamaio, rimandi al suo ruolo ecclesiastico, mentre in quello di Marcello è l’arredo stesso a indicare la sua propensione come mecenate delle arti tramite la ricchezza della decorazione marmorea e degli intarsi lignei (Herrmann Fiore 1992, p. 41). Il motivo del fazzoletto e gli elementi del libro e del calamaio richiamano tutti opere di Raffaello, rispettivamente il Ritratto di Giulio II (Londra, National Gallery) e quello, già citato, di Leone X.
Il Ritratto di Giulio Sacchetti fu certamente eseguito all’indomani della sua elevazione a cardinale, annunciata nel gennaio del 1626; tuttavia, a quella data, Giulio si trovava in Spagna come nunzio alla corte di Filippo IV, e non rientrò a Roma prima della fine di ottobre, da cui ripartì come legato di Ferrara nell’aprile dell’anno successivo. La realizzazione del dipinto è quindi collocabile con ogni probabilità in quell’intervallo di tempo in cui il neocardinale si trattenne a Roma tra un viaggio e l’altro, e allo stesso periodo va ricondotto anche il pendant dedicato al fratello. Tale cronologia si accorda anche all’età dimostrata dai due effigiati, all’epoca circa quarantenni (Briganti 1982,pp. 173-175, nn. 18-19; Testa 1991, pp. 118-119, nn. 19-20; Montanari, cit.).
La coppia di dipinti potrebbe essere compresa nei “dieci ritratti di casa Sacchetti” citati insieme ad altre quattro opere in un pagamento al Berrettini datato 1630 (Guarino 1997a, n. 24; Id. 1997b, p. 31), all’indomani della morte di Marcello. Il documento è forse riferibile al saldo di opere ordinate da quest’ultimo a Cortona e, data l’ampiezza delle commissioni, attesta la stima accordata al pittore da parte del suo primo mecenate.
A partire dalla sua esecuzione e per quasi quattro secoli, il ritratto di Giulio in veste di cardinale è rimasto presso la famiglia Sacchetti. Nel 2016 l’opera è stata donata alla Galleria Borghese dalla Fondazione Giulio e Giovanna Sacchetti allo scopo di riunirlo al suo pendant, qui confluito all’inizio dell’Ottocento tramite l’acquisto del principe Camillo Borghese presso il mercante d’arte Pietro Camuccini (P.L. Puddu, The Provenance of Raphael’s “Madonna of the Pinks”, II, in “The Burlingtone Magazine”, CLX, MCCCLXXXVII, 2018, pp. 838-839). I due dipinti, infatti, risultano separati già nel 1644, anno in cui il Ritratto di Marcello Sacchetti è attestato per la prima volta in casa Barberini (M. Aronberg Lavin, Seventeenth-Century Barberini Documents and Inventories of Art, New York 1975, pp. 178, 304, 433; Herrmann Fiore, cit.), dove è rimasto fino al passaggio in collezione Borghese tramite la compravendita di Camuccini.
Pier Ludovico Puddu