Il dipinto, in passato ritenuto parte dalla ricca collezione Aldobrandini, raffigura Ludovico X duca di Baviera, qui ritratto a mezzobusto con una lunga barba e un ricercato copricapo, il cui nome - insieme alla sua età - appare in alto al centro del ritratto. L'opera, una replica di bottega, deriva probabilmente da un esemplare prodotto intorno agli anni Trenta del Cinquecento nell'atelier di Barthel Beham, pittore e incisore tedesco, specializzato nella produzione di ritratti e di incisioni su piccola scala.
Cornice seicentesca dipinta di nero con grottesche floreali cm 62,5 x 55 x 6
(?) Roma, collezione Olimpia Aldobrandini, 1700 (Inventario 1700, Stanza IX, n. 28; Della Pergola 1959); Inventario Fidecommissario Borghese 1833 (p. 37, Stanza verso il Giardino, n. 50). Acquisto dello Stato, 1902.
In alto al centro: "DEI GRACIA LUDOVICUS UTRIUSQUE/BAVARIAE DUX AETATIS SUAE XXXVII"
La provenienza di questa tavola rimane ignota. L'ipotesi, infatti, di riconoscerla con uno dei dipinti Aldobrandini descritti sommariamente nei relativi inventari come 'Opera di Dürer' si rivela alquanto debole (Della Pergola 1959), pista che in mancanza di ulteriori dettagli si rivela dunque difficile da percorrere.
Se si abbandona tale strada, la prima notizia certa sul dipinto risale al 1833, anno in cui l'estensore del Fidecommisso attribuisce il quadretto "largo palmi 1 1/2; alto palmi 2 in tavola" ad Albrecht Dürer, nome ripetuto da Giovanni Piancastelli (1891) ma debitamente scartato da Adolfo Venturi (1893) che ritiene la composizione una copia antica tratta da un originale perduto, eseguito nell'ambito della scuola tedesca.
Il primo a proporre il nome di Barthel Beham fu Herrman Voss (1908) avvicinando debitamente il ritratto a un'incisione raffigurante lo stesso soggetto al rovescio. Secondo lo studioso, infatti, la composizione Borghese sarebbe stato il prototipo da cui sarebbe tratta la stampa, segnalando al contempo presso la Galleria Lichtenstein una replica della tavola Borghese.
Di tutt'altro parere furono invece Paul Wescher (1936), secondo cui la versione Borghese deriverebbe da un ritratto di Ludovico X di Baviera eseguito nel 1543 e attribuito dallo studioso a Jörg Pencz; e Stephen Pogalyen-Neuwall (1940), il quale propose di assegnare il dipinto Lichtenstein e un'ulteriore composizione, firmata e datata '1530' (Schlessheim, Pinacoteca), al Beham e di contro il ritratto Borghese e un altro esemplare (Berchtesgaden, coll. privata) alla bottega del pittore.
Come affermato da Paola della Pergola, che pubblica il quadro come Bottega di Barthel (Della Pergola 1955; e così C. Stefani in Galleria Borghese 2000; Herrmann Fiore 2006), la fortuna di questi ritratti raffiguranti personaggi illustri fu così enorme da sollecitare la creazione di numerose repliche, uscite - com'è noto - dalle botteghe di grandi maestri. Ciò è quanto di fatto dovette accadere con la tavola in esame, probabilmente prodotta nella bottega di Beham sul finire degli anni Trenta quando il pittore, attivo alla corte di Ludovico X di Baviera, produsse numerosi ritratti con l'aiuto dei suoi collaboratori.
Antonio Iommelli