La tavola, citata in collezione Borghese a partire dal 1693, ritrae una suora la cui identità rimane tuttora sconosciuta. La religiosa, raffigurata contro uno sfondo verde pastello, veste l'abito domenicano: indossa infatti una tunica chiara, il doppio velo e il soggolo, una morbida fascia che avvolgendo delicatamente il collo circonda il viso e il capo. La presenza del giglio, simbolo di verginità, rimanda a Caterina Benincasa, santa nativa di Siena, città con la quale è stato associato l'autore di questo dipinto.
Salvator Rosa (cm 54,6 x 38,7 x 5)
Roma, collezione Borghese 1693 (Inventario 1693, Stanza IX, n. 32); Inventario 1725, Stanza IX, n. 12; Inventario 1765, p. 76; Inventario 1790, Stanza III, n. 18; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 17. Acquisto dello Stato, 1902.
La provenienza di questo dipinto è tuttora ignota. È stato identificato dalla critica (Della Pergola 1959) con il quadretto "[...] di due palmi incirca in tavola con dentro la Testa di Monaca con uno che tiene un giglio in mano (sic)", così elencato nell'inventario del 1693 dei beni di casa Borghese, descritto genericamente dall'estensore del documento come opera 'del Sofonisba', attribuzione ripresa nel 1790 e precisata in tale occasione con 'Pietro Sofonisba'. Questo nome, sostituito negli elenchi fedecommissari del 1833 con quello di Pier Francesco Mola, fu scartato debitamente da Adolfo Venturi (1893) che, muovendosi nel solco tracciato dal Ramhdor (1787), assegnò il quadro al senese Francesco Vanni.
Tale giudizio fu però rifiutato sia da Roberto Longhi (1928), che parlò di cerchia di Domenico Beccafumi e di Bartolomeo Neroni; sia da Paola della Pergola (1955), che nel catalogo della Galleria Borghese pubblicò il dipinto come anonimo maestro toscano. Secondo la studiosa, infatti, la tavola, sicuramente di ambito senese, risulta affine nel trattamento del velo ai modi giovanili di Rosso Fiorentino, in particolare a uno dei suoi ritratti conservato agli Uffizi (Ritratto di giovinetta, inv. 99573). Questa ipotesi, mai discussa dalla critica, è stata riproposta da Kristina Herrmann Fiore (2006).
Antonio Iommelli