Entrato in collezione Borghese dopo il 1704, questo ritratto rappresenta Clemente Merlini, auditore di rota di origini forlivesi, identificato dalla critica per l'emblema araldico - un'aquila sulla torre - dipinto a mo' di pomo sullo schienale della sedia su cui siede il nobile monsignore.
La dimensione meditativa e profonda dell'effigiato è resa dal pittore con grande maestria, fondendo insieme la lezione caravaggesca e le esperienze classiciste di discendenza arpinesca e carraccesca. Con una pennellata pastosa, l'artista descrive un interno oscuro, da cui emerge una libreria con pochi scaffali in cui sono disposti disordinatamente alcuni volumi, uno dei quali tenuto in bella vista dal colto prelato. L'intimità della scena e l'atteggiamento dell'effigiato restituiscono alla composizione una certa veridicità, lontana dai coevi ritratti aulici in cui la nobiltà del personaggio ritratto è espressa dalla preziosità degli oggetti dipinti e dalla ricchezza delle stoffe.
Cornice ottocentesca decorata con fiori di fiori di loto e perline (179.5 x 168 x 7.5 cm).
(?) Roma, probabilmente commissionato da Clemente Merlini (1590-1642); Roma, collezione Antonio Barberini, 1644 (Incisa della Rocchetta 1924); Roma, collezione Francesco Barberini, 1671 (cfr. Aronberg Lavin 1975); Palestrina, collezione Carlo Barberini, 1679; Palestrina, collezione Borghese, 1706; Palestrina, collezione Barberini, 1738-1739 (Posse 1925); Roma, collezione Borghese, documentato dal 1833 (Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 9). Acquisto dello Stato, 1902.
La prima notizia su questo dipinto risale al 1644, anno in cui risulta inventariato tra i beni del cardinale Antonio Barberini, descritto come: "un quadro con un ritratto mezza figura a sedere di Mons[igno]re Merlino Auditore di ruota, di mano del sig[no]r Andrea Sacchi con cornice tinta di noce con filetti d'oro". Passata successivamente nella raccolta del cardinale Francesco Barberini senior e da questi in quella di suo nipote Carlo, l'opera pervenne ai Borghese in data imprecisata - ad ogni modo non prima del 1738-1739 (Posse 1925) - il cui passaggio e le circostanze della committenza risultano ancora poco chiari.
Nel 1924 Giovanni Incisa della Rocchetta identificò con certezza l'identità del personaggio ritratto - creduto fino ad allora Orazio Giustiniani - rendendo noto alcuni documenti rintracciati tra le carte di casa Barberini conservate presso l'Archivio Apostolico Vaticano. Le ragioni dello studioso furono tra l'altro avvalorate dall'individuazione dell'emblema araldico dei Merlini - una torre merlata sormontata da un'aquila - rappresentato a guisa di pomo in legno dorato sullo schienale della sedia alle spalle dell'effigiato; e dal confronto tra questo ritratto e un'incisione di Giovanni Battista Zampa, raffigurante il monsignore forlivese e pubblicata a corredo delle Decisiones Sacrae Rotae Romanae, un'opera giuridica di grande importanza a cui prese parte Clemente Merlini.
Come attesta Giovan Pietro Bellori (1672), Andrea Sacchi si distinse nei suoi ritratti per un 'buon colorito', il cui 'raro talento' è esemplificato, secondo lo scrittore, da alcune composizioni, tra cui "[...] il ritratto di monsignor Merlini auditor di rota ed insigne nelle dottrine legali, disposto a sedere nello studio in zimarra con una mano appoggiata al bracciolo della sedia, mentre con l'altra tocca un foglio del libro aperto, quasi noti alla dottrina". In effetti, come ha ben espresso Kristina Herrmann Fiore (2000), questa tela costituisce un capolavoro della ritrattistica barocca nella Roma del Seicento che costringe a rivedere alcune posizioni sul pittore, considerato da sempre uno dei più maggiori esponenti del classicismo romano, il quale in questo ritratto unisce sapientemente le esperienze arpinesche e carraccesche con la lezione caravaggesca (cfr. Strinati 2000). Di fatto, come rilevato sia da Hans Posse (1925), sia da Herrmann Fiore (2000), alcune opere di Caravaggio fornirono diversi spunti al Sacchi, in particolare il Ritratto di Paolo V (Roma, Palazzo Borghese); il Ritratto di Maffeo Barberini (Firenze, collezione Corsini); e secondo la studiosa, il San Girolamo Borghese (inv. 56), come denoterebbe il gesto della mano destra che si stende lontana dal corpo; oltre al Ritratto del padre (Lugano, Museo Civico Caccia) eseguito da Giovanni Serodine a Roma nel 1628.
In questo dipinto, inoltre, Sacchi esemplifica le sue teorie sul ritratto, sintetizzate in una missiva indirizzata all'allievo Francesco Lauri: "[...] non si deono far pittoreschi i ritratti rendere o nella capillatura, o nell'abito, o nel gesto, o in altre strane guise ridicoli gli originali, ed andar minutamente ricercando, o diffettuzi, che si dovrebbe nascondere, o caricar quelli che si dovrebbero diminuire. Poichè chi sa ben prendere gli affetti dell'animo, che appariscon ne' volti, ed i lor contorni, poco più ha uopo per farli simili, dovendo l'artefice far comparir sempre più vaga dell'originale la copia senza che perda appunto di sua somiglianza. E prendasi sempre il lume maggiore, e dall'alto, e più da tramontana che da mezzo giorno, acciò il sole, ed il prenderlo da basso non faccia variare il sembiante. Ne per far bizzarre, e sfarzose le pieghe delle vesti, farle fantastiche, crude ed affettate senz'accorgersi; che non secondano la positura de' corpi, che han da ricoprire, e ch'invece di ricoprirli restano per la lor gravezza, ed ammassamento oppressi, e deformi [...] i capelli, che biasimevoli sono per soverchia attillatura non meno che per eccessiva negligenza [...] gli occhi [...] araldi dell'animo, e che risplendano, e scintillano per l'allegrezza, s'offuscano per la malinconia e piangono talora [...] giachè credo non vi dovrà parer strano, se ben vi rifletterete che v'abbia proposto per modello l'oratore e il muto, quantunque l'uno sia senza favella, l'altra ne abbia troppo" (Pascoli 1736; Herrmann Fiore 2000).
Questo ritratto, eseguito secondo Posse (1935) e Paola della Pergola (1959) intorno al 1640, è stato datato da Ann Sutherland Harris (1977) al 1630-1631, realizzato secondo la studiosa negli stessi anni in cui Clemente Merlini commissionò all'artista di Nettuno la pala per la confraternita di San Pietro de' Battuti (Forlì, Pinacoteca Comunale), lasciato alla sua morte, avvenuta nel 1642, al cardinale Antonio Barberini. Nello stesso anno, inoltre, Carlo Magnone avrebbe realizzato una copia di questo dipinto (Incisa della Rocchetta 1924), da identificare con la tela conservata in collezione Pallavicini a Roma, ritenuta da Federico Zeri (1959) di scarsa qualità.
Antonio Iommelli