Il busto in porfido e alabastro ritrae l’imperatore Marco Salvio Otone, del quale restituisce una fisionomia giovane, con il viso non increspato da rughe, e una singolare capigliatura, sviluppata in altezza e assolutamente non definita nei dettagli, tanto che le ciocche cadono sulla fronte formando un’unica linea. Il busto, presenta un’armatura non definita cui fa da contrasto un mantello dalle pieghe accuratamente tracciate e orlato da una scanalatura continua.
Proveniente dal Palazzo di famiglia in Campo Marzio, dove era inserito con altri 15 consimili nella decorazione della Galleria degli Specchi, è presente nella Villa Pinciana sicuramente dal 1832, anno in cui la serie risulta esposta nella sala IV.
Il personaggio ritratto è Marco Salvio Otone, che è stato imperatore romano per circa tre mesi nel 69, e la cui fisionomia è qui restituita in maniera piuttosto generica e senza attenzione ai dettagli. La capigliatura, folta e sviluppata in altezza, è poco definita con le ciocche che la compongono non separate e che si appoggiano sulla fronte formando una linea continua. La fronte è liscia, senza pieghe d’espressione che anche nel resto del volto sono piuttosto superficiali, probabilmente a indicare la giovane età di Otone, morto a 37 anni. Il naso è aquilino e ha un leggero doppio mento. Indossa una lorica il cui spallaccio è solo sommariamente delineato e il mantello da comandante dell’esercito (paludamentum) appuntato sulla spalla destra con una fibula tonda e risvoltato sulla spalla sinistra, con l’orlo percorso da un’incisione continua. Il busto poggia su peduccio modanato.
L’opera fa parte di una serie di sedici busti in porfido e alabastro provenienti dal Palazzo Borghese in Campo Marzio: riproducenti i Dodici Cesari narrati da Svetonio con l’aggiunta di Nerva e Traiano, di un secondo Vitellio e di un altro Tito, erano collocati all’interno delle nicchie della galleria e circondati da una decorazione con rilievi in stucco raffiguranti episodi salienti della vita di ciascuno e personificazioni delle rispettive virtù, eseguita da Cosimo Fancelli tra il 1674 e il 1676 (Hibbard 1962). In tale collocazione la serie è documentata fino al 1830 (Nibby, p. 360), per poi figurare tra le opere esposte nella sala IV della Villa Pinciana nel 1832 (Nibby 1832, p. 94), con una diversa composizione e l’aggiunta di un altro Vespasiano, eseguito da Tommaso Fedeli nel 1619, proveniente dalla sala del Gladiatore.
Stando ai documenti conservati nell’Archivio Borghese la serie era composta, come detto, dai “Dodici Cesari” con l’aggiunta di Nerva e Traiano, di un secondo Vitellio e di un altro Tito (ASV, AB, b. 5688, n. 15, pubblicati in Hibbard 1962, appendice, doc. I, pp. 19-20). Nel 1830 Nibby li identifica– ancora in Campo Marzio – come “16 busti con teste di porfido, rappresentanti i 12 Cesari e 4 consoli”, e due anni dopo quando ormai sono esposti lungo le pareti della sala IV, li elenca come Traiano, Galba, Claudio, Otone, Vespasiano (2 esemplari), Scipione Africano, Agrippa, Augusto, Vitellio (2 esemplari), Tito, Nerone, Cicerone, Domiziano, Vespasiano, Caligola e Tiberio. Se l’ultima citazione – comprendente anche un secondo Vespasiano, eseguito da Tommaso Fedeli nel 1619, proveniente dalla sala del Gladiatore – è quella che corrisponde allo stato attuale della serie (e trova conferma nell’Inventario Fidecommissario del 1833), resta difficile comprendere che fine abbiano fatto i ritratti di Cesare, Tito e Nerva, presenti nel 1674-76 e non più rintracciabili nella serie attuale, chi fosse il quarto console indicato da Nibby nel 1830, dal momento che oggi ve ne sono solo tre (Agrippa, Cicerone e Scipione Africano) e quale sia la provenienza di questi ultimi. Appare quindi ipotizzabile che i busti utilizzati nella galleria – già presenti nel Palazzo Borghese – non corrispondessero ai personaggi previsti nel programma iconografico della volta e che questa difformità abbia in seguito complicato l’identificazione dei ritratti. A sostegno di questa ipotesi è anche la datazione dell’insieme, che la critica è concorde nel ritenere eseguito contemporaneamente nel XVII secolo (Faldi 1954, pp. 16-17; Della Pergola, 1974; Moreno, C. Stefani,2000, p. 129; Del Bufalo 2018, p. 116).
Sonja Felici