Ritratto di Traiano
Proveniente dal Palazzo Borghese in Campo Marzio, dove decorava, insieme agli altri quindici ritratti con cui componeva una serie, la galleria degli specchi, il busto, esposto dal 1832 nella sala IV della Villa Pinciana, ritrae le fattezze dell’imperatore Traiano.
Il volto, inquadrato superiormente dalla caratteristica capigliatura con la frangia distesa sulla fronte bassa, ha i tratti regolari, con le labbra serrate inquadrate da evidenti pieghe naso-labiali. Il busto riproduce il paludamento appuntato sulla spalla sinistra con una fibula, sopra la corazza anatomica decorata con una testa di Medusa.
Scheda tecnica
Inventario
Posizione
Datazione
Tipologia
Periodo
Materia / Tecnica
porfido; alabastro orientale
Misure
Provenienza
Inserito tra il 1674 e il 1676 nella decorazione della Galleria del Palazzo Borghese in Campo Marzio (H. Hibbard, Palazzo Borghese Studies. II, the Galleria, in “The Burlington magazine”, 104,1962, pp. 9-20). Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C, p. 49, n. 111. Acquisto dello Stato, 1902.
Conservazione e Diagnostica
- 1995/1996 C.B.C. Coop. a.r.l.
Scheda
Marco Ulpio Nerva Traiano, imperatore romano dal 98 al 117, è raffigurato con il volto girato verso destra. La fisionomia presenta tutti gli elementi caratteristici della ritrattistica nota dell’imperatore, a partire dalla capigliatura disposta sulla fronte in ciocche parallele, che si dispongono su due livelli ai lati del volto, lo sguardo energico reso da occhi stretti con palpebre sottili, incorniciati superiormente da sopracciglia contratte, incise nel porfido. Dal naso regolare, con la punta ingrossata, si dipartono due evidenti pieghe naso-labiali che inquadrano la bocca sottile con gli angoli rivolti in basso; il mento è piuttosto sporgente.
Il busto presenta il paludamentum raccolto in grosse pieghe e appuntato sulla spalla sinistra con una fibula tonda e la lorica decorata con protome raffigurante il Gorgoneion, la testa recisa di Medusa, che aveva una funzione benaugurante e protettiva.
L’opera fa parte di una serie di sedici busti in porfido e alabastro provenienti dal Palazzo Borghese in Campo Marzio: riproducenti i Dodici Cesari narrati da Svetonio con l’aggiunta di Nerva e Traiano, di un secondo Vitellio e di un altro Tito, erano collocati all’interno delle nicchie della galleria e circondati da una decorazione con rilievi in stucco raffiguranti episodi salienti della vita di ciascuno e personificazioni delle rispettive virtù, eseguita da Cosimo Fancelli tra il 1674 e il 1676 (Hibbard 1962). In tale collocazione la serie è documentata fino al 1830 (Nibby, p. 360), per poi figurare tra le opere esposte nella sala IV della Villa Pinciana nel 1832 (Nibby 1832, p. 96), con una diversa composizione e l’aggiunta di un altro Vespasiano, eseguito da Tommaso Fedeli nel 1619, proveniente dalla sala del Gladiatore.
Stando ai documenti conservati nell’Archivio Borghese la serie era composta, come detto, dai “Dodici Cesari” con l’aggiunta di Nerva e Traiano, di un secondo Vitellio e di un altro Tito (ASV, AB, b. 5688, n. 15, pubblicati in Hibbard 1962, appendice, doc. I, pp. 19-20). Nel 1830 Nibby li identifica – ancora in Campo Marzio – come “16 busti con teste di porfido, rappresentanti i 12 Cesari e 4 consoli”, e due anni dopo quando ormai sono esposti lungo le pareti della sala IV, li elenca come Traiano, Galba, Claudio, Otone, Vespasiano (2 esemplari), Scipione Africano, Agrippa, Augusto, Vitellio (2 esemplari), Tito, Nerone, Cicerone, Domiziano, Vespasiano, Caligola e Tiberio. Se l’ultima citazione – comprendente anche il secondo Vespasiano di Tommaso Fedeli – è quella che corrisponde allo stato attuale della serie (e trova conferma nell’Inventario Fidecommissario del 1833), resta difficile comprendere che fine abbiano fatto i ritratti di Cesare, Tito e Nerva, presenti nel 1674-76 e non più rintracciabili nella serie attuale, chi fosse il quarto console indicato da Nibby nel 1830, dal momento che oggi ve ne sono solo tre (Agrippa, Cicerone e Scipione Africano) e quale sia la provenienza di questi ultimi. Appare quindi ipotizzabile che i busti utilizzati nella galleria – già presenti nel Palazzo Borghese – non corrispondessero ai personaggi previsti nel programma iconografico della volta e che questa difformità abbia in seguito complicato l’identificazione dei ritratti. A sostegno di questa ipotesi è anche la datazione dell’insieme, che la critica è concorde nel ritenere eseguito contemporaneamente nel XVII secolo (Faldi 1954, pp. 16-17; Della Pergola, 1974; Moreno, C. Stefani,2000, p. 129; Del Bufalo 2018, p. 116).
Sonja Felici
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