Considerata a lungo opera del Perugino, dal XX secolo l’opera è stata riportata nel catalogo del Francia; un restauro del 1925 rese nuovamente visibili le stimmate, rendendo riconoscibile con certezza la figura del santo. Francesco, davanti al paesaggio, caratteristica comune di molte opere del pittore bolognese, mostra le stimmate e il libro, a ricordo della Regola stesa per l’ordine monastico da lui fondato.
Roma, Collezione Borghese, citata nell’inv. 1790, Stanza II, n. 37; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 19. Acquisto dello Stato, 1902.
In esposizione temporanea alla Galleria Nazionale d'Arte Antica per la mostra "Raffaello, Tiziano, Rubens. Capolavori dalla Galleria Borghese a Palazzo Barberini"
Una certa confusione circa l’autore ha interessato il dipinto sin dalla prima menzione inventariale del 1790, quando viene ricordato un «S. Francesco di Pietro Perugino» (Della Pergola 1955, p. 38). Se l’elenco fidecommissario del 1833 cambia correttamente l’autografia in favore di Francesco Francia, a vedersi mutata è l’intestazione del soggetto, riconosciuto essere un Sant’Antonio da Padova. Un errore giustificato dalla presenza degli attributi comuni quali la piccola croce e il libro, oltre alla difficoltà, in passato, di riuscire a vedere chiaramente le stimmate caratteristiche del santo francescano. Merito della recente scheda di Giacomo Alberto Calogero quello di aver ripercorso la storia attribuzionistica dell’opera (Calogero 2019, p. 87). Dopo Cavalcaselle, che propose il dipinto quale opera di Giacomo Raibolini, determinante fu il parere di Adolfo Venturi (1890, p. 293), il quale ricordava come «bellissimo è il retratto dovuto al pennello di Marco Meloni, che ammirasi nella Galleria Borghese a Roma. Nel catalogo della medesima dicesi veramente che il quadro rappresenta San Francesco; ma a torto, poiché la mancanza delle Stimmate e la presenza invece dei simboli caratteristici […] giustificano appieno la nostra identificazione» (A. Venturi 1893, p. 63; Gardner 1911, p. 195). La smentita sarebbe arrivata solo a seguito del restauro condotto da Vittorio Facchinetti nel 1925, in cui emersero chiaramente le tracce delle stimmate sulle mani. Parere decisivo in favore del Francia è stato espresso da Berenson (1907, p. 223), che fece propendere il parere di Venturi nuovamente nell’orbita del Francia, assegnandola a Giacomo Raibolini, vedendo successivamente concorde anche Roberto Longhi ([1928] 1967, I, p. 335, n. 57). Dopo esser stato ribadita (Berenson 1932 p. 209 e 1936 p. 179), l’attribuzione al Francia è accettata dalla critica successiva (De Rinaldis 1939, p. 45; Della Pergola 1955, p. 38, n. 49). Da Calogero (cit.), il quadro in collezione è definito “un esempio eccellente di quella svolta peruginesca che Francia adottò pienamente ad apertura di secolo: una formula che prevedeva una giusta miscela di nitore ottico ponentino e di dolcezza estenuata fino all’eccesso”, ponendo in tal senso un confronto stringente tra la figura del Santo con il san Girolamo presente nella Assunzione della Vergine della Galleria dell’Accademia. Circa la datazione dell’opera è fondamentale il confronto istituito da Simonetta Stagni, con il San Francesco presente nella pala dipinta dal Francia, datata al 1500, conservata nella Pinacoteca di Bologna (Stagni 1986, pp. 2, 9, 13); proposta accettata dalla critica successiva (Negro, Roio, 1988, pp. 150-151).
Fabrizio Carinci