Non è nota la data d'ingresso in collezione della tavola, documentata con certezza per la prima volta nel fidecommisso del 1833. È probabile che l'acquisizione del dipinto, di modesta qualità, sia da considerare come un tentativo di rievocare, più che di compensare, la presenza in collezione di un’opera venduta nel 1801 al "signor Durand di Parigi ", insieme con un gruppo di quadri di rilevante interesse, come risulta dalla sua descrizione nell’inventario del 1693. Può trattarsi quindi di una derivazione da questo celebre prototipo di Leonardo, oggi conservato al Louvre; il soggetto rappresentato, pur con diversa iconografia, e la vicinanza delle misure rendono verosimile l’ipotesi di un’acquisizione successiva alla vendita del 1801.
Collezione Borghese, probabilmente dopo il 1801 (Della Pergola), citato per la prima volta nell’Inventario Fidecommessario Borghese 1833, p. 34. Acquisto dello Stato, 1902.
La data dell’ingresso della tavola in collezione Borghese non è nota, sebbene Della Pergola ipotizzi sia stata acquistata successivamente al 1801 (1955, pp. 78-79): viene infatti documentata con certezza solo nel Fidecommisso del 1833.
Infatti, il San Giovanni citato negli inventari precedenti, da quello del 1693 a quello del 1790, sarebbe da identificare con quel san Giovanni Battista autografo di Leonardo, oggi conservato al Louvre (inv. 775), che venne venduto nel 1801 all’antiquario “Durand di Parigi” insieme con altre opere tra cui la Cena di Caravaggio, attualmente alla National Gallery di Londra (Della Pergola 1955). L’inventario del 1693 lo descriveva come “un quadro di due palmi e mezzo di un S. Giovanni che accenna col dito a lettere Agnus Dei del N. 188 con cornice dorata in tavola di Leonardo da Vinci”. La tavola oggi in collezione, di qualità inferiore, “senza pregio” (Longhi 1928, p. 354), è dunque una versione variata del celebre modello, che potrebbe essere intesa come un acquisto da parte dei Borghese in un tentativo di rievocare, più che di compensare, proprio quel San Giovanni Battista precedentemente alienato.
Gabriele De Melis