Collezione di Scipione Borghese, documentato nel 1610 (pagamento della cornice); Inventario 1693, Stanza VII, n. 44; Inventario 1700 Stanza XI, n. 9; Inventario 1790, Stanza X, n. 36; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 20, n. 12. Acquisto dello Stato, 1902.
Il dipinto reca l’iscrizione “Bro(n)zino Fiore(ntino) sul sasso nell’angolo inferiore a sinistra, elemento che ne ha sempre consentito la corretta attribuzione negli inventari Borghese. La tavola è attestata nella collezione dal 1610, anno in cui si registra un pagamento di sei scudi “per la cornice del S.Gio. Battista del Bronzino” ad “Anibale Coradino” (doc. cit. in Della Pergola 1959, p. 216, n. 54), e probabilmente vi confluì poco tempo prima, con modalità tuttora sconosciute.
L’opera è catalogata nell’inventario del 1693 come “un quadro in tavola tela d'Imperatore con S. Giovanni nel deserto del No 470 cornice dorata del Bronzino fiorentino” e ritorna nei successivi elenchi del 1700, del 1790 e in quello fidecommissario del 1833, sempre con l’attribuzione al pittore toscano.
Il contesto di esecuzione del quadro è stato ricostruito dalla critica a partire da un’ipotesi formulata da Janet Cox-Rearick (1987, p. 159; si veda anche Brock 2002, p. 175), la quale ha convincentemente proposto di interpretare il dipinto come un ritratto di Giovanni de’ Medici, figlio di Cosimo I, in veste dell’eponimo santo. Giovanni, fin da piccolo destinato alla carriera ecclesiastica, divenne cardinale nel 1560 e arcivescovo di Pisa l’anno seguente. Il ritratto sarebbe stato commissionato a Bronzino (Agnolo di Cosimo) in quel giro d’anni per celebrare tali nomine, fornendo anche l’occasione di richiamare, con la rappresentazione del santo protettore di Firenze, la nuova stabilità dei territori sotto il potere di Cosimo I all’indomani della pace di Cateau-Cambrésis (1559). L’età dell’effigiato, il quale all’epoca delle nomine aveva tra i sedici e i diciassette anni, si accorda con le sembianze del giovane modello ritratto. In base a questa ricostruzione viene meno l’ipotesi avanzata precedentemente da Luisa Becherucci (1944, p. 49), secondo la quale il dipinto sarebbe identificabile con il “San Giovannino” citato nella Guardaroba medicea nel 1553; a questa data l’effigiato aveva solo dieci anni, età non compatibile con l’immagine dipinta da Bronzino, né tanto meno il soggetto così descritto potrebbe adattarsi ad una tale rappresentazione del santo, certamente giovanile ma comunque già adulto.
Il santo è raffigurato con i suoi attributi tipici, quali la pelle di animale, che porta sulle spalle, la croce fatta di verghe e la ciotola del battesimo, che tiene nella mano destra dopo averla appena riempita dalla fonte rappresentata a margine della composizione. Del cartiglio con la scritta “Ecce Agnus Dei”, altro elemento che accompagna frequentemente la figura del Battista, rimane solo una piccola porzione nella parte inferiore del quadro, probabile conseguenza di una riduzione della tavola avvenuta in epoca imprecisata. La zona ombrosa alle spalle del santo, in cui la vegetazione si aggroviglia sulle pareti rocciose, è stata definita come un’evocazione delle tentazioni che tormentarono l’eremita nel deserto (Brock, cit.; Tazartes 2003, p. 188), interpretazione che tuttavia, secondo Angelo Maria Monaco (2010, p. 308), costituirebbe un’anomalia rispetto ai consueti modi del pittore, incline ad una rappresentazione iconografica più chiara e facilmente identificabile.
Se da una parte sono ben visibili gli attributi tipici del santo, dall’altra le caratteristiche della figura, con il corpo statuario, i folti riccioli e le labbra rosate, sembrano voler allontanare l’immagine dalla sua dimensione mistica per inserirla in una sfera più profana (Tazartes, cit.; Monaco, cit.).
La critica (Mc Comb 1928, p. 79; Becherucci, cit.; Emiliani 1960, tav. 70; Cecchi 1996, p. 58; Baccheschi 1973, p. 99) ha più volte posto l’accento sulla posa alquanto artificiosa, seppur elegante, del Battista, impostata su un gioco di contrapposizioni degli arti, ma anche sulla plasticità delle forme, che Becherucci (cit.) interpreta alla luce di un influsso michelangiolesco la cui incidenza è invece ridimensionata da Monaco (cit.). Come ritratto di un personaggio a lui coevo, Bronzino sceglie di elaborare un’immagine a metà tra l’idealizzazione e la verosimiglianza, che guarda al naturale ma emendandolo di ogni elemento accidentale (Monaco, cit.; Falciani 2015, pp. 26-29; Fenech Kroke 2021, p. 234). Significativo in questo senso è il riferimento al Torso del Belvedere rievocato nella figura di San Giovanni rappresentato coperto solo da un drappo di colore azzurro.
Riguardo alla cronologia del dipinto, già riferito agli anni Quaranta del Cinquecento da Andrea Emiliani (cit.; ancor prima da Mc Comb, cit.) sulla scorta di una relazione con gli affreschi nella Cappella di Eleonora di Toledo a Palazzo Vecchio realizzati da Bronzino nella prima metà del decennio, essa è stata post-datata in seguito all’interpretazione del soggetto come ritratto di Giovanni de’ Medici.
Pier Ludovico Puddu