Il sarcofago è decorato sulla fronte dalla raffigurazione di un thiasos marino composto da quattro coppie di Tritoni e Nereidi che suonano diversi strumenti musicali disposte simmetricamente ai lati di una maschera di Oceano. Sui fianchi sono graffiti in bassorilievo due animali marini, una pantera e un grifone. Il coperchio è ornato da un fregio continuo di Horai, le personificazioni delle stagioni, caratterizzate dai loro rispettivi frutti. Ai lati le due maschere tragiche acroteriali sono munite di un’alta pettinatura di pesanti boccoli. La scultura è presente in un disegno del Percier della fine del Settecento priva del coperchio e posta nel Recinto del Lago. Nel 1827 compare tra le opere destinate ad essere restaurate da Massimiliano Laboureur e nel 1832 è infine ricordata nella sua attuale collocazione.
Il motivo iconografico del thiasos marino e quello delle Horai si diffondono nelle rappresentazioni funerarie romane, a decorazione di sarcofagi, a partire dall’età antoniniana. La testimonianza del Percier porrebbe dei dubbi sulla pertinenza del coperchio alla cassa del sarcofago, entrambi, tuttavia, da inquadrare nel II secolo d.C.
Collezione Borghese, presente alla fine del Settecento nel Recinto del Lago (Di Gaddo 1997, p. 188); all’interno della Palazzina Borghese si ritrova nella sala II, sua odierna collocazione, nel 1832 (Nibby, p. 74). Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C., pp. 45-46, n. 67. Acquisto dello Stato, 1902.
Il sarcofago, conservato per intero, presenta un thiasos marino simmetricamente disposto, al centro del quale si trova una maschera barbata di Oceano da cui dipartono le onde che compongono la base della raffigurazione. Ai lati di essa sono presenti due Tritoni: quello disposto sul lato destro sorregge sulla mano sinistra un timone e in quella destra, distesa, una tuba che si accinge a suonare; quello sul lato sinistro, fornito di una lunga barba, è intento a suonare una lira. Entrambi sorreggono sulle code due Nereidi con il capo rivolto verso di loro. Le figure femminili, dai capelli raccolti in uno chignon e coronati da un cercine, sono nude a eccezione di un panneggio che in quella di sinistra compie una velificatio dietro il capo della dea, che lo trattiene con la mano destra. Seguono altre due coppie di Tritoni con Nereidi. In quella di destra il Tritone, senza barba, è intento a suonare la tuba e il velo della Nereide riproduce il medesimo gioco di movimento ad arco sopra il capo. In quella di sinistra il Tritone, barbato, tiene con il braccio sinistro un’ancora e la Nereide una cetra. Queste sono le uniche due figure che non volgono il capo verso il centro del rilievo ma verso un Erote alato alle loro spalle. Un secondo Erote alato, posto sulla coda del Tritone, chiude la raffigurazione sul lato destro.
La composizione decorativa appare particolarmente densa e le figure, fortemente restaurate, occupano l’intera superficie della lastra. I fianchi sono decorati con un bassorilievo, dai contorni graffiti, raffigurante nel lato sinistro una pantera marina, su quello destro un grifo.
Il tema del corteggio marino si sviluppa pienamente nella scultura funeraria a partire dal secondo quarto del II sec. d.C., inizialmente svolto in maniera continuativa sulla fronte dei sarcofagi e successivamente arricchito, durante la seconda metà del secolo, di un motivo centrale. Tale motivo consiste inizialmente di una testa di Oceanus intorno alla quale le figure del corteggio si dispongono simmetricamente che viene pressoché definitivamente sostituita, già durante il III secolo, dal clipeus, spesso modellato in forma di valva di conchiglia, che racchiude l’immagine del defunto (Zanker, Ewald 2004, pp. 117-134, 325-331).
Sul significato del tema del thiasos marino raffigurato nei monumenti funebri, il Buonarroti per primo, nel 1698, vede queste figure come corteo di esseri mitici che accompagna l’anima del defunto nelle isole dei Beati: “In molti sepolcri scolpirono de’ geni marini per corteggio delle anime, che andavano agli Elisi (p. 44). L’ipotesi è ripresa nel 1942 dal Cumont secondo cui “plus transparent est le symbole de la navigation des âmes vers le Iles Fortunées, où une antique tradition plaçait le séjour des hèroes. Cette traversée a été choisie comme motif de décoration de nombreaux monuments funéraires“ (p. 166). Il Rumf si discosta da tale interpretazione e individua in questi contesti mitici sofisticate allegorie di speranza di vita oltre la morte. L’autore riconosce l’assenza di una documentazione letteraria ed epigrafica che avvalori questa visione, nonché l’utilizzo di tale tema iconografico anche in contesti non funerari (1939 pp. 131-132). Altri autori ipotizzano che la presenza dei Meerwesen nei sarcofagi intendesse alludere allo stato di beatitudine atemporale della dimensione oltremondana, ritenendo il soggetto evocatore di messaggi edonistici visivamente veicolati mediante immagini di letizia, nudità ed erotismo (Sichtermann 1970a, pp. 214-215; Sichtermann 1970b, pp. 236-238; Zanker, Ewald 2004, pp. 117-119, 132-134).
La Barringer attribuisce alla figura delle Nereidi una valenza benevola e sostiene che proteggessero durante i viaggi, sia in senso letterale per mare che metaforici verso l’adilà (1995, pp. 54-55).
È verisimile considerare il tema del thiasos marino nei sarcofagi una evocazione dei vari significati dell’oltretomba, sia come l’allusione ad una condizione idillica del defunto, che come cammino simbolico effettuato dall’anima verso le Isole dei Beati (Sichtermann 1963, p. 422; Zanker, Ewald 2004, p. 133).
Il coperchio del sarcofago è decorato con Horai affrontate, semirecumbenti, che personificano le quattro stagioni, la primavera di fronte all’estate, l’autunno di fronte all’inverno. Due figure femminili indossano un chitone altocinto e un himation, un mantello, che, adagiato sul ventre, si gonfia sopra il capo a realizzare una velificatio e termina al di sotto del gomito di sostegno. Nella divinità di destra, vestita anch’essa di chitone, l’himation è invece disteso sul bacino. La lunga veste, che lascia scoperti i piedi, aderisce ai corpi delle figure mostrandone le forme piene. Una delle quattro, raffigurante l’Estate, è coperta solo dal mantello che, come negli altri casi, è gonfiato ad arco. Le figure sono ritratte nella medesima posizione, con una delle gambe piegata e aderente al suolo mentre l’altra, flessa, è adagiata sopra. Il viso, ovale, è incorniciato da lunghi capelli, scriminati al centro e raccolti in uno chignon nella parte posteriore. Le donne sorreggono con il braccio steso un canestro, ricolmo dei frutti della stagione, posto sul ginocchio, e sono affrontate a coppie a un kantharos poggiato al suolo, anch’esso traboccante di raccolto. Ai lati del coperchio sono due volti acroteriali raffiguranti maschere teatrali tragiche munite di alto όnkos, la capigliatura a semicerchio posta sopra il volto, le cui chiome cascano in boccoli paralleli. Sui fianchi sono raffigurate due fiaccole disposte in senso orizzontale.
In ambito funerario, il tema iconografico si ritrova diffuso, con una molteplicità di varianti, tra il II e il III secolo d.C. (Matz 1958, pp. 33-41; Kranz 1984, p. 24).
Il Turcan e lo Zanker individuano nelle stagioni l’evocazione di una natura feconda e generosa, che assicura agli uomini una vita di ricchezza e di pace nell’eterna alternanza dei cicli stagionali (Turcan 1999, pp. 122-129; Zanker, Ewald 2004, pp. 167-169).
Il sarcofago Borghese è illustrato, privo del coperchio, in un disegno del Percier della fine del Settecento, addossato al muro del Recinto del Lago (Di Gaddo 1997, p. 118). Nel 1827 si ritrova, menzionato come proveniente da tale contesto, in una missiva del Ministro Evasio Gozzani al Principe Camillo Borghese tra le opere affidate allo scultore Massimiliano Laboureur per essere restaurate (Moreno, Sforzini, 1897, p. 355). Nel 1832 è ricordato nella sua odierna collocazione, la sala II, dal Nibby, il quale ponendolo a confronto con uno simile conservato al Museo Pio Clementino, lo definisce “inferiore per lavoro” (p. 74).
La narrazione è organizzata in base a un preciso schema simmetrico, la delicata resa dei panneggi e la definita caratterizzazione fisiognomici dei Tritoni trovano un puntuale confronto in un rilievo di soggetto analogo conservato al Museo del Louvre, e un secondo della Collezione Aldobrandini, datati alla fine del II secolo d.C. (Rumf 1939, pp. 13-15, nn. 38, 40).
La struttura compositiva a fregio continuo con due coppie di donne affrontate e le centrali affiancate di spalle, che decora il coperchio, si ritrova in una scultura di età antoniniana presente al Museo Nazionale Romano (Dayan, Musso 1981, pp. 153-155) e in una seconda posta su un sarcofago raffigurante il mito di Oreste presso il Cleveland Museum of Art (Hanfmann 1951, p. 170, n. 385).
La testimonianza grafica del Percier pone subbi sulla pertinenza del coperchio alla cassa del sarcofago. Tuttavia entrambi in base alle osservazioni svolte sembrano potersi inquadrare nella metà del II secolo d.C.
Giulia Ciccarello