Il dipinto raffigura una Sibilla, abbigliata col tipico copricapo simile a un turbante che con lo sguardo rivolto verso l’alto denuncia le sue facoltà profetiche mentre annota uno dei suoi oscuri responsi. Al pari dei profeti, queste mitiche sacerdotesse avrebbero annunciato - secondo una antica visione - la venuta di Cristo ai pagani, divenendo per questo nel corso dei secoli fonte d'ispirazione per tantissimi pittori.
Secondo la critica, l'opera fu eseguita dal pittore viterbese Giovan Francesco Romanelli, acquistata nell'Ottocento dalla famiglia Borghese, molto probabilmente per interessamento del principe Camillo nel 1818-1819.
Roma, collezione Camillo Borghese, 1818-1819 (Costamagna 2003, p. 103; Tarissi De Jacobis, in Villa Borghese 2003, p. 107); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 7. Acquisto dello Stato, 1902.
Il dipinto è segnalato per la prima volta in collezione Borghese nell'Itinerario di Mariano Vasi del 1824, entrato - secondo la critica - nelle raccolte di famiglia con Camillo Borghese tra il 1818-1819 (Costamagna 2003, p. 103; Tarissi De Jacobis 2003, p. 107). Registrata nel XIX secolo come opera di Guido Cagnacci (cfr. Inventario Fidecommissario 1833, p. 7; A. Venturi 1893, p. 58), la tela fu attribuita a Giovan Francesco Romanelli da Hermann Voss (1924, p. 550) il quale, dopo i primi dubbi mostrati da Corrado Ricci sulla paternità del dipinto (1913-1914, p. 109), non esitò ad assegnare la Sibilla al catalogo del pittore viterbese, parere accettato unanimemente da tutta la critica, tra cui Roberto Longhi (1928, p. 181) e Paola della Pergola (1959, pp. 131-132, n. 183) che segnalò a tal riguardo una copia della tela presso una collezione privata romana.
Come suggerito dal copricapo, la tela rappresenta una delle leggendarie sibille, descritte dalla fonti come sacerdotesse dotate di virtù profetiche che, ispirate da Apollo, erano in grado di fornire responsi, prontamente annotati - come in questo dipinto - su un libro. Tra le più note figurano la Sibilla Eritrea, la Sibilla Cumana, la Sibilla Libica e la Sibilla Delfica, identificabili attraverso particolari soluzioni iconografiche, assenti però in questo caso.
Come suggerito dalla critica, la tela mostra diverse analogie con le note sibille dipinte da Guido Reni e dagli artisti della scuola bolognese, giudicata da Della Pergola un'opera "di particolare finezza nel colore e nella espressione" (1959, p. 132).
Antonio Iommelli