Notevolmente restaurata, la statua è una replica dell’Afrodite Pudica, nella sua rielaborazione ellenistica nota come “Afrodite tipo Medici”. La dea dell’amore, completamente nuda,si regge sulla gamba sinistra ed è colta nell’atto di coprirsi il pube e il seno sinistro; a destra Eros su delfino, evocazione della nascita della dea dalle onde del mare, funge da supporto. Il modellato morbido della scultura Borghese, ricco di chiaroscuri, la caratterizza come elaborazione romana della prima metà del II sec.
La statua può forse essere riconosciuta nella Venere con Eros su delfino menzionata dal Manilli e dal Montelatici nel Parco della Villa, lungo il Viale delle Fontane, a ornamento della fontana ovale.
La scultura rappresenta Venere, dea dell’amore e della fecondità, accompagnata da Eros su delfino, in una delle numerose varianti romane. La statua può forse essere riconosciuta nella “Venere con un amoretto sopra un delfino” che Manilli nel 1650 e Montelatici nel 1700 ricordano lungo il Viale delle Fontane, a ornamento della fontana “ovata”. Più tardi, nell’inventario fidecomissario del 1833, la statua è registrata come “Venere Marina” fra le sculture della sala VII, dove ancora è ricordata nella guida del Nibby, che ne riconosce le affinità iconografiche con l’Afrodite medicea, e dove rimase fino al suo trasferimento, nel 1888, nella sala III, in cui attualmente è collocata.
Benché fortemente integrata (sono antichi infatti solo il busto e gli arti superiori della figura femminile e parte dell’Erote) la scultura è identificabile come una replica dell’Afrodite Pudica, nella sua rielaborazione ellenistica nota come “Afrodite tipo Medici”, dalla nota replica conservata alle Gallerie degli Uffizi (Felletti Maj 1951, pp. 41-47; Delivorrias et alii 1984, p. 53, nn. 419-421), che si differenzia dal tipo detto “Dresda-Capitolino” (Delivorrias et alii1984, pp. 52-53, nn. 409-418; Schmidt 1997, pp. 204-205, nn. 112-117) – di cui è considerata da alcuni studiosi una variante – per la posizione più eretta del torso e meno inclinata in avanti.
Il nome allude al gesto di pudore, con il torso inarcato in avanti e il braccio destro piegato nel tentativo di coprire il seno sinistro, mentre il braccio sinistro è portato davanti al pube. La figura, ignuda, si presenta con la gamba sinistra tesa, a reggere il peso della dea, e con la gamba destra piegata. La testa, di restauro, riproduce una capigliatura pertinente al tipo, mentre le due ciocche antiche superstiti sul dorso trovano confronti con l’esemplare all’Hermitage (inv. A 150); il capo è rivolto verso destra e lievemente chinato; i capelli, divisi sulla fronte in due ampie bande, si dispongono intorno al viso, con le ciocche più alte raccolte al sommo del capo in un nodo e le rimanenti raccolte sulla nuca in una crocchia, da cui sfuggono due ciocche ricadenti sulle spalle.
La statua eponima del tipo, acquistata da Francesco de’ Medici nel 1584, reca sul basamento la firma di Cleomene, ateniese, figlio di Apollodoro. Pur racchiudendo in sé le linee guida della lezione dell’Afrodite Cnidia prassitelica nella morbidezza dei piani delle forme e nella delicatezza e flessuosità della figura, il prototipo di questo nuovo tipo di Afrodite si differenzia esteticamente e psicologicamente dalla Cnidia e può ricondursi all’età ellenistica avanzata.Tuttavia, come appurato anche per altre repliche di Afrodite Pudica, l’esemplare in esame conferma la difficoltà di individuare un preciso archetipo vista la commistione di varianti avvenuta già nelle botteghe neoattiche di età tardo-ellenistica. La varietà dei contesti d’esposizione delle repliche, diffuse in tutto il Mediterraneo, ha comportato una certa libertà iconografica nelle riproduzioni, visibile soprattutto nelle molteplici soluzioni adottate per il supporto, in questo caso costituito da Eros su delfino, che ricorda la nascita della dea dalle onde del mare ed è parimenti diffuso nelle repliche del tipo Medici e del tipo capitolino.
Nell’ambito della produzione scultorea romana, la statua Borghese trova confronti con l’esemplare nella collezione Farnese a Napoli, datato alla seconda metà del II sec. d.C. (MANN, inv. 6296; Pafumi 2010, pp. 155-156, n. 59), quello al Museo archeologico di Venezia, di età antoniniana (Traversari 1986, pp. 27-29, n. 5), una statua al Museo di Dresda, forse proveniente dalla collezione Albani (Sparti 1998, p. 73), e infine con l’esemplare post antico presso Palazzo Lancellotti ai Coronari (Candilio 2008, pp. 258-259, n. 97).
Per la scultura in esame invece è plausibile una datazione all’inizio del II sec. in considerazione di alcuni particolari stilistici, quali il modellato ricco di chiaroscuri e, in particolare,la ripresa, nell’erote, di motivi del fregio traianeo del Tempio di Venere Genitrice nel Foro di Cesare.
Jessica Clementi