La figura femminile, avvolta da un chitone trasparente e con indosso un mantello che copre la metà inferiore del corpo, insiste sulla gamba sinistra, con la destra flessa e avanzata; il corpo è lievemente ruotato verso destra, come la testa, integrata nel XVIII secolo. Mentre il braccio sinistro è portato al fianco, il destro poggia sulla coda del delfino, che funge da sostegno, secondo uno schema generalmente attribuito alla “Venere Marina”, sebbene la lettura più diffusa vi ravvisi piuttosto la rappresentazione di una Ninfa, soggetto ampiamente diffuso in età imperiale per la decorazione di horti e giardini.
Documenti grafici cinquecenteschi attestano una originaria collocazione a Roma, in prossimità della chiesa dei SS. Apostoli; nel 1741 è elencata nell’inventario della Villa Borghese a Mondragone; dal 1819 la statua entra nella collezione di antichità allestita nel Casino della Villa a Porta Pinciana.
La scultura era collocata nel Cinquecento in prossimità della chiesa dei SS Apostoli, come documenta un disegno di Melchior Lorck del 1551 in cui sono fantasiosamente integrate la parte inferiore dell’avambraccio destro, la coda del delfino con l’aggiunta di una fiaccola e la testa; in seguito venne probabilmente trasportata a Palazzo Altemps (Becatti 1971, p. 22). Più tardi, nel 1741, la statua ricompare come “Venere con delfino” nell’inventario della Villa Borghese a Mondragone, costruita nel 1572-85. Nel 1819 la statua venne trasportata a Roma e affidata agli scultori Felice Festa e Francesco Massimiliano Labourer per i restauri al fine dell’allestimento della nuova collezione di antichità nel Casino della Villa a Porta Pinciana, dove nel 1832 Antonio Nibby la descrive come Tetide (per confronto con un bassorilievo della Sala Rotonda del Vaticano), esposta nella nicchia meridionale della sala IV, dove tutt’oggi è collocata.
La figura femminile è avvolta da un chitone trasparente senza maniche, un pesante mantello copre la metà inferiore del corpo, ricadendo sul davanti in un risvolto triangolare, mentre sale dal retro a coprire in parte il braccio sinistro ed è trattenuto dalla mano appoggiata sull’anca sollevata. La figura insiste sulla gamba sinistra, con la destra flessa e avanzata; il corpo è lievemente ruotato verso destra, in accordo con la torsione della testa moderna: i capelli, divisi sulla fronte in due ampie bande, si dispongono intorno al viso, con le ciocche più alte raccolte a sommo del capo in un nodo e i rimanenti raccolti sulla nuca in una crocchia che lascia fuoriuscire due ciocche – antiche – ricadenti sul petto; mentre il braccio sinistro è portato al fianco, il destro poggia sulla coda del delfino che, innalzato su una base rocciosa, funge da sostegno.
La scultura è stata da tempo collegata a una serie di statue muliebri che presentano uno schema analogo ma con numerose varianti, generalmente definito “Venus Marina”, per il quale si sono distinti due tipi principali: il tipo A con torso nudo e pilastrino con vaso a sinistra, con sottotipo A1 cui si aggiunge il chitone e il tipo B con torso nudo e delfino su base rocciosa a sinistra, con sottotipo B1 caratterizzato da chitone che copre il busto (Becatti 1971). L’identificazione del soggetto è stata oggetto di ampia discussione; la presenza in entrambi i tipi di supporti legati all’acqua e la predominanza del tipo A suggeriscono una interpretazione come divinità o figura mitologica connessa all’acqua sorgiva, una Ninfa, sebbene non manchino, anche in tempi recenti, identificazioni con Afrodite (Schmidt 1997, p. 201, n. 67). Altrettanto complesso è l’inquadramento cronologico: se il ritmo e il trattamento del panneggio hanno indotto alcuni studiosi a ricercare il modello in una statua di Afrodite di V o IV sec. a.C., altri propongono una produzione classicista di ambiente neoattico in cui si fondono motivi di tradizione fidiaca, prassitelica e lisippea, in un orizzonte cronologico variamente inquadrato fra II e I sec. a.C. (Romeo 1998, pp. 216-217; Pafumi 2009, p. 52).
La statua Borghese, unico esempio noto del sottotipo B1, si contraddistingue, come l’esemplare Farnese a Napoli (MANN, inv. 6301), per la presenza di un foro nella bocca del delfino, che ne documenta l’utilizzo quale elemento di fontana, nell’ambito del programma decorativo di un giardino o ninfeo, coerentemente con una delle destinazioni d’uso preponderanti per le varie repliche note del tipo, provenienti prevalentemente da contesti urbani occidentali. Il trattamento del panneggio, con un utilizzo contenuto del trapano, permettono di proporre una datazione in età adrianea.
Jessica Clementi