Statua di Afrodite con testa moderna di Artemide
La figura femminile, in cui si riconosce una delle numerose varianti della Venere pudica semipanneggiata diffuse in età tardo ellenistica e imperiale, insiste sulla gamba destra arretrando leggermente la sinistra; il corpo, pressoché nudo, è incorniciato da un mantello teso dalla mano destra sopra la spalla, generando un netto contrasto fra le forme morbide e la cornice chiaroscurale del tessuto, con notevoli affinità con una Afrodite a Villa Doria Pamphilij. Non pertinente è la testa, moderna, che richiama piuttosto una divinità lunare, come Selene-Luna o Artemide-Diana; il largo impiego del trapano unito alla forma solida del trattamento del corpo suggeriscono una attribuzione della scultura alla seconda metà del II secolo d.C.Inizialmente esposta nella Sala Egizia (sala VII), nel 1888 venne spostata nella sala V per trovare poi definitiva collocazione nel portico, probabilmente alla metà del XX secolo.
Scheda tecnica
Inventario
Posizione
Datazione
Tipologia
Materia / Tecnica
Misure
alt. senza plinto cm. 112 (testa cm. 20)
Provenienza
Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C, n. 170. Acquisto dello Stato, 1902.
Conservazione e Diagnostica
- XVI sec. (?) integrazione con testa moderna
- XIX sec. integrazione braccio sinistro e mano, braccio destro da sotto l’ascella con la mano e lembo di mantello, collo
- 1966 Tito Minguzzi
- 1995 Abacus
- 2008 Consorzio Capitolino
Scheda
Inizialmente esposta nella Sala Egizia (sala VII), come segnalato dall’Indicazione delle opere antiche di scultura esistenti nel primo piano della Villa Borghese del 1840 e del 1873 oltreché dalla guida del Nibby del 1838, la statua venne spostata nel 1888 nella sala V, al posto della Musa Talia da Monte Calvo, insieme ad altre sculture raffiguranti la dea Venere. Qui è ricordata da Adolfo Venturi nel 1893, da Giovanni Giusti nel 1904 e ancora da Lippold nel 1925; probabilmente alla metà del XX secolo venne collocata nel portico, nella sua attuale posizione.
La non pertinenza della testa alla statua è segnalata già dal Venturi, che la attribuisce a un restauro del XVI sec. La figura femminile, identificabile con Venere, dea dell’amore e della fertilità, insiste sulla gamba destra arretrando leggermente la sinistra; il corpo, in posizione frontale, è pressoché nudo: un mantello, teso dalla mano destra sopra la spalla, fluttua al di sopra della testa nascondendo la parte posteriore e descrivendo un’ampia curva, ricadendo a terra e avvolgendo completamente la gamba sinistra e formando ampie pieghe sinuose. Incerta è la posizione originaria del braccio sinistro, frutto del restauro integrativo.
La statua appartiene alla ricca serie delle Veneri pudiche, per cui è stata messa in evidenza la difficoltà di risalire puntualmente a un determinato archetipo, vista l’estrema diffusione del soggetto in tarda età ellenistica e in età imperiale, con una moltiplicazione delle variabili iconografiche. In questo caso, il tipo si distingue per il contrasto fra le forme morbide del corpo nudo e la cornice chiaroscurale del mantello, con un richiamo all’Afrodite Landolina, invenzione iconografica del tardo ellenismo sul tema della Pudica semipanneggiata, ritenuta replica della famosa immagine di culto venerata nel santuario siracusano di Afrodite Callipigia, il cui tipo è tramandato in diverse repliche e varianti di epoca romana a carattere decorativo, esposte in contesti pubblici e privati (Delivorrias et alii 1984, p. 83, nn. 743-747). Notevole, infine, è l’affinità fra la statua in esame e l’Afrodite di Villa Doria Pamphilij, la più simile alla Borghese, ma con ritmo invertito (Palma 1977, p. 74 n. 75; Delivorrias et alii 1984, p. 81, n.725).
La testa moderna, generalmente considerata opera Rinascimentale, presenta un crescente lunare che qualifica la figura divina come Selene-Luna (Gury 1994, pp.706–15) o Artemide-Diana (Kahil 1984, p. 689, nn. 906, 907, 909), con alcune affinità, nell’ovale del viso e nei lineamenti minuti, con la Diana di Poitiers a Fontainebleau (Moreno, Viacava 2003, p. 60). Anche se la perdita della testa non consente di apprezzarne la qualità, si scorge il largo impiego del trapano nella resa delle pieghe del panneggio. Tale dato, unito alla forma solida del trattamento del corpo, suggeriscono una generica attribuzione della scultura alla seconda metà del II secolo d.C.
Jessica Clementi
Bibliografia
- Indicazione delle opere antiche di scultura esistenti nel primo piano della Villa Borghese, Roma 1840, p. 22, n.2.
- A. Nibby, Roma nell’anno 1838, Roma 1841, p. 923, n.2.
- Indicazione delle opere antiche di scultura esistenti nel primo piano della Villa Borghese, Roma 1854 (1873), p.26 (27), n.2.
- A. Venturi, Il Museo e la Galleria Borghese, Roma 1893, p. 36.
- G. Giusti, La Galerie Borghèse et la Ville Humbert Premier à Rome, Roma 1904, p. 29.
- W. Amelung, P. Arndt, G. Lippold, Photographische Einzelaufnahmen antiker Skulpturen, X, 1, München 1925, p. 12, n.2745.
- Riemann 1940, p.122
- P. Della Pergola, La Galleria Borghese in Roma, (3° Edizione), Roma 1954, p. 5.
- B. Palma, in Antichità di Villa Doria Pamphilj, R. Calza (a cura di), Roma 1977, p. 74 n. 75.
- P. Moreno, Museo e Galleria Borghese, La collezione archeologica, Roma 1980, p. 6.
- P. Moreno, S. Staccioli, Le collezioni della Galleria Borghese, Milano 1981, p. 100, fig. a p. 86.
- Delivorrias et alii, s.v. Aphrodite, in “Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae”, II,1 Zürich München 1984, pp. 81, 83.
- L. Kahil, s.v. Artemis, in “Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae”, II,1 Zürich München 1984, p. 689, nn. 906, 907, 909.
- F. Gury, s.v. Selene/Luna, in “Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae”, VII,1 Zürich München 1994, pp. 706–15.
- P. Moreno, A. Viacava, I marmi antichi della Galleria Borghese. La collezione archeologica di Camillo e Francesco Borghese, Roma 2003, pp. 60-61, n. 2.
- Scheda di catalogo 12/00147872, P. Moreno 1975; aggiornamento G. Ciccarello 2021