Attestata in una incisione settecentesca nel Giardino del Palazzo di città della famiglia Borghese, è ricordata all’interno delle sale della Villa nel 1832.
La statua femminile è identificabile con la raffigurazione di Artemide nell’atto di cacciare, del tipo Copenaghen-Ostia. La veste dalla stoffa trasparente e ricca di fitte e morbide pieghe, è annodata sotto al seno e sui fianchi. Sul petto è adagiata trasversalmente la nebride, la pelle del cerbiatto che caratterizzava i personaggi dei cortei dionisiaci, che scende lungo il lato sinistro del corpo. Evocano il medesimo ambiente gli alti stivali in pelle, i mullei, tipici di Dioniso.
La scultura è una copia, inquadrabile nel secondo secolo d.C., di modelli tardo-ellenistici.
Collezione Borghese, è ritratta in un’incisione del Venturini, del 1691 ca., in una delle nicchie del museo del Giardino nel Palazzo di città della famiglia Borghese (Falda, tav. 11); all’interno della palazzina è menzionata per la prima volta nel 1832 nella sala IV, sua odierna collocazione (Nibby, p. 91). Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C., p. 50, n. 124. Acquisto dello Stato, 1902.
Nel 1691 circa la scultura risulta presente, secondo un’incisione del Venturini, nel Giardino del Palazzo di città della famiglia Borghese, posta all’interno di una delle nicchie del muro decorato da Carlo Rainaldi al lato di una fontana nei pressi del teatro (Falda, tav. 11). Nel 1832 Nibby la testimonia nel primo intercolumnio della sala IV della Villa Borghese, all’interno di una nicchia, “Diana succinta tenente l’arco […] scolpita in marmo lunense da buon scalpello” (p. 91).
La figura indossa un corto chitone con maniche, annodato sotto al seno e sui fianchi, dove il panneggio sblusa in eleganti pieghe. Sulla spalla destra è annodata la nebride che attraversa il petto diagonalmente e scende lungo il lato sinistro del corpo. Ai piedi indossa degli alti stivali, i mullei, tipici di personaggi di ambiente dionisiaco. La calzatura, che lascia in vista le dita, è decorata da una foglia nella parte inferiore e da una pelle ferina pendente dal bordo superiore. Il termine mullus indicava un tipo di triglia di cui riprendeva il colore rosso. La testa, leggermente volta verso destra, è cinta da un diadema lunare posto sopra una capigliatura a lunghe ciocche mosse, scriminate al centro sulla fronte e raccolte nella parte posteriore. Il volto di forma ovale, dai tratti morbidi e pieni, mostra gli occhi di forma amigdaloide sormontati da arcate sopraccigliari lineari e appena accennate. La bocca, dalle piccole labbra carnose, è serrata.
Nelle rappresentazioni settecentesche la statua appare già come nello stato odierno, integrata nelle mancanze, a eccezione del plinto che risulta invece di forma rettangolare. Si tratta della raffigurazione di Artemide nell’atto di cacciare, del tipo iconografico Copenaghen-Ostia, che prende il nome dalle due note repliche di stile tardo ellenistico (Poulsen 1951 pp. 86-87, n. 89; De Chirico, 1941, pp. 241-245, figg. 17-18).
Nella scultura Borghese il Lippold individua delle forti integrazioni nel volto, che ritiene, tuttavia, pertinente. L’autore, che suppone la faretra di fattura moderna, considera la pelle adagiata sulla donna, una pelle di maiale (1925, p. 11, n. 2742). La Bieber identifica come elemento comune alle varie repliche del tipo, tra le quali include anche la scultura conservata nell’Ashmolean Museum di Oxford, il nodo della veste particolarmente lento, che giudica poco idoneo alle battute di caccia della dea. L’autrice considera, inoltre, la pelle di maiale una caratteristica che ben si legherebbe al culto di Diana sul Palatino, alla quale erano sacrificati dei cinghiali (Bieber 1977, p. 72, fig. 255). Lo Steuben reputa invece, a ragion veduta, che il pelo caratterizzi un cerbiatto, identificando nel mantello una nebris (Helbig, Speier 1966, p. 729, n. 1973).
Il trattamento della veste, particolarmente succinto sulle forme femminili e caratterizzato da fitte pieghe leggiadre, induce a inquadrare la replica Borghese nel II secolo d.C.
Giulia Ciccarello