Il torso Borghese riproduce Atena Parthenos (Vergine), il famoso colosso crisoelefantino alto circa 12 m realizzato da Fidia nel 438 a.C. per la cella del Partenone, sull’acropoli di Atene, annoverato fra le opere più celebri dell’antichità. Secondo la consueta iconografia, la dea è stante sulla destra, mentre la sinistra è arretrata. La statua è concepita come una figura di culto ieratica, con postura rigorosamente frontale; indossa un peplo dorico con voluminoso rimbocco, stretto in vita dalla cintura di serpentelli annodati nella parte posteriore con le code e allacciati anteriormente con le teste. L’egida, la pelle della capra Amaltea, protegge il busto della dea come una corazza ed è chiusa al centro da una testa di Gorgone con serpenti arrotolati lungo il bordo. Nonostante l’erosione della superficie, esposta a lungo alle intemperie, e lo stato mutilo, l’esemplare Borghese si distingue per l’elevata finitezza del lavoro.Ignote sono la provenienza e la data di ingresso nella collezione Borghese, dove venne inserita nel Portico sicuramente dopo il 1833.
Collezione Borghese, citata per la prima volta nella Indicazione 1840, p. 5, n. 11. Acquisto dello Stato, 1902.
Ignote sono la provenienza e la data di ingresso nella collezione Borghese del torso di Atena, assente nell’inventario fidecommissario e inserita nel Portico sicuramente dopo il 1833; menzionata per la prima volta nella Indicazione delle opere antiche di scultura esistenti nel primo piano della Villa Borghese del 1840, la scultura fu descritta nel portico ancora dal Venturi, per poi essere spostata solo nella prima metà del secolo successivo in sala V. Attribuita, senza alcuna evidenza documentaria, dalla Schreiber a scavi coevi, è invece probabile, come ipotizzato da Botta Morizio, che la scultura corrisponda alla statua di Atena Parthenos raffigurata a Roma, nel XVI sec, nel disegno del Codex Pighianus, con alcune differenze da attribuire a errori o cambiamenti arbitrari del disegnatore oltre a una prolungata esposizione all’esterno (Botta Morizio 1972, pp. 14-17). Ciononostante, non è possibile riconoscervi con esattezza nessuna delle statue di Minerva/Pallade ricordate da Manilli o Montelatici nella Villa, essendo presenti altre sculture di analogo soggetto, inclusa la statua di Atena Parthenos ceduta, successivamente, a Bonaparte insieme ad altre sculture della raccolta e nota come Minerva au Collier (Louvre, inv. MA 91).
Il torso Borghese è inserito fra le repliche dell’Atena Parthenos, il famoso colosso crisoelefantino alto circa 12 m realizzato da Fidia nel 438 a.C. per la cella del Partenone, sull’acropoli di Atene, quale simbolo della grandezza dell’Atene di Pericle e annoverato fra le opere più celebri dell’antichità (sul tipo vd. Nick 2002; Davison 2009). Le dimensioni dell’opera, i materiali utilizzati e la prematura dispersione, già nel corso del V sec. a.C., hanno determinato una diffusione dello schema iconografico attraverso rilievi attici a partire dal IV sec.a.C. Secondo la consueta iconografia, la dea è stante sulla destra, mentre la sinistra è arretrata. La statua è concepita come una figura di culto ieratica, con postura rigorosamente frontale; indossa un peplo dorico con apoptygma, un voluminoso rimbocco, stretto in vita dalla cintura di serpentelli annodati nella parte posteriore con le code e allacciati anteriormente con le teste. L’egida squamata protegge il busto della dea come una corazza; divisa in due parti sul petto è chiusa al centro da un gorgoneion con serpenti arrotolati lungo il bordo. L’esemplare Borghese è acefalo e privo di braccia; secondo alcuni studiosi, la c.d. testa Ricciardi potrebbe essere stata originariamente pertinente al torso, anche sulla base di compatibilità dimensionali (Nick 2002, p. 246, A28).
Secondo Plinio (Naturalis Historia, XXXVI, 18) e Pausania (I, 24, 5), la statua della Parthenos poggiava la mano sinistra sul bordo di uno scudo decorato con scene di amazzonomachia a rilievo sull’esterno e gigantomachia all’interno, con un enorme serpente adagiato a destra; la mano destra, protesa in avanti, poggiava invece su una colonna che sorreggeva una Vittoria alata. Nessuno di tali elementi decorativi compare nella statua Borghese, dove il bordo superiore della suola del sandalo non è decorato da una centauromachia, come nel colosso fidiaco, ma da un motivo a treccia. Particolarmente attendibili per la ricostruzione dell’iconografia sono le statuette dell’Atena Lenormant e dell’Atena da Varvakeion (Atene, Museo Nazionale Archeologico, inv. nn. 128; 129).
Stilisticamente la replica Borghese è stata messa a confronto da alcuni studiosi con l’Atena proveniente da Santa Marinella, oggi al Museo Archeologico di Civitavecchia (Nick 2002, p. 245, A25), e con l’esemplare da Villa Wolkonsky (Bucolo 2020, pp. 66-67), cui si avvicina per la tipologia di cinta, il trattamento dell’egida squamosa, i riccioli fortemente arricciati sulle spalle e il sistema di inserimento di arti superiori e testa. Le affinità iconografiche e tecniche hanno portato dunque ad attribuire tali sculture a un medesimo gruppo di repliche elaborate tra la fine dell'età adrianea e la prima epoca antonina, fra le quali l’esemplare Borghese di distingue per l’elevata finitezza del lavoro.
Jessica Clementi