La scultura, oggetto di varie integrazioni, riproduce il dio dell’ebbrezza, Dioniso/Bacco, con il braccio destro abbassato a reggere il tirso e il sinistro piegato e appoggiato al sostegno, mentre la mano è stretta intorno a un grappolo d’uva. Il corpo è giovane e slanciato, coperto trasversalmente da una pelle di pantera, mentre la testa, volta verso sinistra, è caratterizzata da una ricca pettinatura, con capelli lunghi disposti in bande laterali trattenute sulla fronte da una tenia ornata di pampini, corimbi e grappoli d'uva. Sul sostegno, costituito da una pianta di vite, si conservano il volto e le zampe anteriori della pantera. L’opera si inserisce in un vasto gruppo di rappresentazioni di età romana del dio destinate prevalentemente a ornare spazi aperti e giardini.
Esposta nel Seicento in una delle otto nicchie ricavate nel muro del giardino interno del Palazzo di città della famiglia Borghese, dalla fine del Settecento venne spostata presso l’accesso esterno alla Sala VI del Casino di Villa Pinciana.
Elencata nell’inventario della primogenitura del 1610, la statua ricorre insieme al Dioniso CXXXIV (sala IV) nelle incisioni del Perrier del 1638, mentre nell’incisione di Venturini della seconda metà del XVII sec. è fra quelle esposte nelle otto nicchie ricavate nel muro del giardino interno del Palazzo di città della famiglia Borghese ornato da Carlo Rainaldi. Alla fine del Settecento venne spostata insieme alle altre sculture nella Villa Pinciana ed esposta, insieme al Dioniso menzionato, ai lati esterni della porta che introduceva dal Giardino alla Sala VI, come attesta l’acquerello di Percier a Parigi del 1786-91. All’epoca dell’introduzione della scultura nella Palazzina, in occasione dell’allestimento della nuova collezione all’indomani della consistente vendita di opere a Napoleone Bonaparte, la statua venne collocata, come l’altro Dioniso, nella sala IV, all’interno di una nicchia che ricalca quella in cui era esposta a Palazzo Borghese.
La scultura, di cui si conservano il torso antico e la parte iniziale delle gambe, è stata oggetto di varie integrazioni, che hanno tuttavia preservato l’originaria ponderazione, con la gamba sinistra scartata e leggermente avanzata, il braccio destro abbassato a reggere il tirso e il sinistro piegato e appoggiato al sostegno, con la mano stretta intorno al kantharos, qui sostituito da un grappolo d’uva. Una pardalide, la pelle di pantera, attraversa in diagonale il torso, dalla spalla sinistra fino a coprire la parte superiore della coscia sinistra, lasciando scoperto il resto del corpo. La testa, volta verso sinistra, presenta una pettinatura esuberante, con capelli lunghi, sciolti sulle spalle e disposti in bande laterali annodate sulla nuca e trattenute sulla fronte da una tenia ornata di pampini e corimbi, dalla quale pendono voluminosi grappoli d'uva. Il sostegno, costituito da una pianta di vite, conserva le tracce delle zampe posteriori della pantera, animale sacro al dio, di cui si preservano anche il volto e le zampe anteriori: nonostante la parziale conservazione è possibile ricostruire l’originaria pertinenza del torso a un’immagine di Dioniso con pantera, come è stato effettivamente restaurato.
Il Dioniso nudo e giovanile è un soggetto ricorrente nella produzione statuaria romana, che si ispira a un prototipo greco – non identificabile con certezza - nella posa, arricchendolo di spunti attinti al patrimonio formale e iconografico tardo-classico ed ellenistico; in questo caso la ponderazione suggerisce una derivazione dalla scuola peloponnesiaca post-policletea, in particolare lisippea (Moreno, Viacava 2003, p. 206). Tra le sculture più vicine per l’iconografia si possono ricordare il Dioniso con nebride e mantello ai Musei Capitolini (inv. scu 628, Gasparri 1986, p. 436 n. 102); il Dioniso a Holkham Hall (Gasparri 1986, p. 436 n 123b; Angelicoussis 2001, pp. 99-100, n. 12, tav. 24, 28-29) e la statua pesantemente restaurata nella collezione Giustiniani (Buccino 2001, pp. 227-228, n. 15). L’opera si inserisce così in un vasto gruppo di rappresentazioni di età romana del dio dell’ebbrezza destinate prevalentemente a ornare spazi aperti e giardini.
La trattazione sfumata del nudo e la resa dei tratti del volto permettono di inquadrare la statua Borghese nella prima metà del II sec. d.C.
Jessica Clementi