La statua colossale raffigura un Dioniso/Bacco d’aspetto giovanile, nudo e stante sulla gamba destra, con testa moderna ma ispirata a teste antiche di Dioniso di analoga acconciatura. L’iconografia attuale, frutto di interventi restaurativi seicenteschi e ottocenteschi, prevede il braccio destro proiettato verso l’alto a reggere un grappolo d’uva anziché piegato ad angolo retto sul capo in un gesto di riposo tipico dell’Apollo Liceo di Prassitele, ampiamente diffuso anche per rappresentare Dioniso ebbro. Tracce di puntelli dietro la spalla sinistra e l’anca sinistra, abrasi e ricoperti dal gesso, permettono di attribuire la scultura a un gruppo, probabilmente in associazione a un satiro o ad altri personaggi del corteggio dionisiaco.
Parte della collezione di Lelio Ceoli, nel 1607 la statua entrò insieme ad altre nel palazzo Borghese a Campo Marzio, prima di essere trasferita nella Villa di Porta Pinciana e collocata davanti alla facciata posteriore, dove rimase fino alla fine del Settecento, quando venne spostata nel Giardino del lago. Solo con l’allestimento della nuova collezione, nel 1827, il Dioniso venne collocato in una nicchia del Salone, dove tutt’oggi è esposto.
Già parte della collezione Ceoli, nel 1607 la statua fu acquistata dal Cardinale Scipione Borghese insieme ad altre di Lelio Ceoli esposte nel palazzo eretto dal Sangallo in via Giulia. Esposta dapprima nel palazzo di famiglia a Campo Marzio, probabilmente nel 1616 fu trasferita nella Villa di Porta Pinciana e collocata davanti alla facciata posteriore. Alla fine del Settecento venne spostata nel Giardino del lago, dove rimase fino al 1826, all’epoca dell’allestimento della nuova collezione nel Casino, depauperato dalla massiccia vendita delle opere a Napoleone Bonaparte. In tale occasione venne pesantemente restaurata: le note archivistiche sottolineano, infatti, l’opinione negativa in merito alle precedenti integrazioni, di cui resta traccia in alcuni disegni seicenteschi di Andrea Boscoli e Philippe Thomassin (De Lachenal 1982, figg. 2; 9); l’intervento ottocentesco, affidato agli scultori Massimiliano Francesco Laboureur e Antonio D’Este, modificò l’iconografia stabilita dal precedente restauro, sostituendo il tirso con il grappolo d’uva. Dal gennaio 1827 la statua colossale venne esposta in una nicchia del Salone, in pendant con il Satiro combattente, anch’esso proveniente dalla collezione Ceoli.
La statua raffigura un Dioniso/Bacco, dio dell’ebbrezza, d’aspetto giovanile, nudo e stante in posa sinuosa sulla gamba destra, mentre la sinistra avanzata poggia su un rialzo, con due sostegni: quello a destra è un tronco avvolto da tralci di vite, quello a sinistra è completamente celato dal mantello. La testa moderna è ispirata a teste antiche di Dioniso con analoga acconciatura; leggermente volta verso sinistra, presenta una pettinatura con capelli lunghi, sciolti sulle spalle e cinti sul capo da una benda, o piuttosto da un diadema ornato di foglie d’edera, pampini e corimbi che nascondono le orecchie, coerentemente con la produzione scultorea di gusto classicistico della prima età imperiale. L’iconografia attuale, frutto – come si è visto – di interventi restaurativi seicenteschi e ottocenteschi, prevede il braccio destro proiettato verso l’alto a reggere prima un tirso e ora un grappolo d’uva. I restauri rendono meno evidente l’impostazione originaria della figura: come già osservato dal Nibby, il braccio doveva essere piegato ad angolo retto sul capo in un gesto di riposo tipico dell’Apollo Liceo di Prassitele, che era appoggiato a una colonna sormontata da tripode, con l’arco nella sinistra e la destra portata sopra la testa in atteggiamento di riposo.
Dal IV sec. a.C. tale schema divenne tipico per indicare Dioniso ebbro, soprattutto nei gruppi fittili e nelle arti minori, ma anche nella statuaria, in cui il dio è chiaramente individuabile per gli attributi tipici, i pampini d’uva sul tronco, e la coppa stretta nella sinistra, generalmente nudo o con indosso una pardalis drappeggiata sul petto. Sebbene esistano vari esempi in cui il dio è solo e stante in tale posizione (es. Dioniso dalla collezione Mattei a Palazzo Altemps, MNR inv. 420802), ben più frequente è la rappresentazione in gruppo, in associazione a un satiro o ad altri personaggi del thiasos dionisiaco (Gasparri 1986, p. 450, nn. 278-280). Anche l’esemplare Borghese doveva essere parte di una simile composizione: tracce di puntelli a sezione circolare dietro la spalla sinistra e l’anca sinistra, abrasi e ricoperti dal gesso, confermano infatti la pertinenza originaria a un gruppo, del quale il secondo componente, il satiro, è stato sostituito nel restauro moderno dal tronco (Moreno, Viacava 2003).
Numerosi esemplari, più o meno affini nello schema generale sebbene diversificati per collocamento delle figure e disposizione degli arti, attestano il successo di tale gruppo, di cui si sono distinti due schemi iconografici: quello di Dioniso ebbro che si abbandona sensualmente sulla spalla del satiro e quello in cui Dioniso vi poggia solo il braccio. È a quest’ultimo gruppo, in cui si distinguono gli esemplari ai Musei Vaticani (Museo Chiaramonti, inv. 588; Pochmarski 1990, p. 324, P27), a Venezia (Museo Archeologico, inv. 119; Traversari 1982) e il gruppo Ludovisi a Roma (MNR, inv. 8606, M. De Angelis D’Ossat 2012, pp. 138-139) che possiamo ricondurre il Dioniso Borghese. In particolare nel Dioniso Ludovisi si possono riscontrare grandi affinità per la colossalità e la forma flessuosa e femminea.
La maggior parte degli studiosi ha rilevato in queste creazioni moduli espressivi del IV sec. a.C., con propensione all’influenza prassitelica, scopadea o lisippea (Pochmarski 1990, pp. 196-324), senza tuttavia unanimità nella definizione di un archetipo comune, alternativamente ricondotto a Prassitele o Thymilos. Le numerosissime raffigurazioni note, contraddistinte da grandi varianti tipologiche, hanno indotto alcuni studiosi a supporre un originale pittorico e altri a riconoscervi una creazione eclettica dell’arte romana, ottenuta rielaborando forme e stili di epoche diverse (Capaldi 2009, p. 136).
Dioniso/Bacco, immagine divina di bellezza giovanile e benefattore dell'umanità per i suoi doni, l’uva e il vino, fu spesso utilizzato in età romana nella plastica ideale a fine decorativo, ampiamente diffuso in ville private e impianti termali pubblici. È in particolar modo a questo ultimo contesto che, in via ipotetica, è possibile ricondurre l’esemplare Borghese, in ragione delle dimensioni colossali che rendono probabile l’originaria collocazione in grandi spazi espositivi. Motivi iconografici e caratteri stilistici permettono di ascrivere la scultura al periodo medioimperiale, in particolare all’età antonina.
Jessica Clementi