La statua rappresenta una figura di fanciulla panneggiata, posta frontalmente. Veste un chitone, cinto sotto al seno e sopra, adagiato sulla spalla sinistra, l’himation, il mantello, che attraversa il busto in diagonale. La scultura è da considerare la raffigurazione di una Musa, priva delle caratteristiche identificative, inquadrabile nel II secolo d.C. e derivante da archetipi di epoca ellenista nell’ambito della scuola prassitelica. Luigi Canina, che nel 1837 cura il rifacimento della Palazzina Borghese dopo la depredazione napoleonica, menziona i restauri effettuati sulla figura e la sua collocazione su un pilastro della Balaustra a pendant di una seconda statua di soggetto analogo.
Collezione Borghese, citato per la prima volta nel 1837 sulla balaustra della terrazza (Petrucci, 2014, p. 193, nota 28). Acquisto dello Stato, 1902.
Un documento di archivio, menzionato dalla Petrucci nel 2014, ricorda la sistemazione della facciata della Palazzina Borghese operata nel 1837, dopo la rovinosa spoliazione napoleonica. Il testo, a firma dell’architetto Luigi Canina, descrive gli interventi realizzati sulle sculture prima della loro collocazione e consente di ricostruirne la disposizione. In particolare, sulla balaustra, composta da piccole colonne di travertino, sono inserite, a intervalli regolari, quattro basi rettangolari sulle quali vengono collocate altrettante statue: due figure femminili laterali e due figure di togato centrali. Una di esse, la statua di fanciulla panneggiata, “la prima a mano di sinistra”, è raffigurata stante, con il peso del corpo sostenuto dalla gamba sinistra e la destra leggermente flessa e arretrata. La figura, coperta da chitone a mezza manica, cinto sotto il seno e fittamente pieghettato, è avvolta in un himation, il mantello, che, adagiato sulla spalla sinistra, copre le spalle e ricade sull’avambraccio sinistro. Le braccia, pur essendo di restauro, dovevano proporre una disposizione simile a quella attuale: il braccio sinistro aderente al corpo con l’avambraccio proteso in avanti e quello destro, anch’esso piegato in avanti, leggermente discostato dal fianco. I piedi, scoperti dalla veste, indossano dei sandali composti da sottili tomaie in cuoio. La figura conserva di antico il corpo, tranne le braccia e la testa. Nella seconda parte del documento, riferibile ai mesi da aprile a giugno del 1837, vengono descritti con dovizia di particolari gli interventi svolti per la sistemazione delle quattro figure in marmo. Precise notizie sono riportate, in particolare, sulla statua di fanciulla, che subisce restauri al piede, la mano e il braccio destro fissati con un perno e le quadrature per l’inserimento della testa non pertinente: “fattogli le due quadrature, per la testa… E più essendo rotta una mano, ed un piede, fatti n° 4 bughi per i perni” (Archivio Apostolico Vaticano, Archivio Borghese, b. 4188: Petrucci 2014, pp. 193-194, n. 28). La figura, purtroppo priva di qualsiasi elemento distintivo, doveva probabilmente ritrarre una delle Muse a pendant con la statua di Melpomene, collocata nell’estremità opposta della balaustra.
La disposizione del panneggio, con il mantello che attraversa diagonalmente il busto e ricade sull’avambraccio sinistro, rimanda a prototipi di epoca ellenistica, nell’ambito della scuola prassitelica, largamente utilizzati in epoca romana e dei quali la scultura Borghese è da considerare una copia di epoca adrianea. Un confronto si può stabilire con una statua di Musa, rinvenuta nella Vigna Lisca all’Aventino e conservata nei Musei Capitolini (Inv. scu 653: Arata 1994, p. 83) e con la cosiddetta Kore del vaticano, restaurata come Urania (Lippold 1936, n. 504, tav. 8).
La De Lachenal, nel suo ampio studio sulle sculture antiche della Collezione Borghese del 1982, ricorda due statue di Musa sulla balaustra della Palazzina, in una delle quali sembra verisimile indentificare la scultura in oggetto (nn. 25-26).
Giulia Ciccarello