La statua, probabilmente originariamente con funzione ritrattistica, rappresenta una figura muliebre, erroneamente restaurata come la divinità Cerere, con indosso un lungo chitone e mantello. Il panneggio richiama elementi tipici della produzione scultorea tardo-classica e proto-ellenistica, suggerendo una probabile elaborazione dello schema iconografico in ambiente microasiatico, dove si trovano confronti puntuali.
Inserita nell’inventario delle sculture conservate a Palazzo Borghese in Campo Marzio e nella Villa di Mondragone trasportate a Villa Pinciana nel 1819, la statua venne esposta dapprima nella sala I e successivamente nella sala VIII fino a trovare definitiva collocazione nella sala V alla fine dell’Ottocento.
Inserita nell’inventario delle sculture conservate a Palazzo Borghese in Campo Marzio e nella Villa di Mondragone trasportate a Villa Pinciana nel 1819, la statua venne restaurata da Francesco Massimiliano Laboureur ed esposta dapprima nella sala I (detta sala della Cerere) probabilmente perché erroneamente interpretata come Cerere; successivamente passò nella camera VI (attuale sala VIII) dove il Nibby la vide nel 1832, mentre già il Venturi (1893) la descrive nella sala V, dove è attualmente esposta.
La statua rappresenta una figura muliebre panneggiata stante sulla gamba destra, mentre la sinistra, libera e scartata di lato, è leggermente flessa al ginocchio e portata indietro; la ponderazione determina una lieve inclinazione del torso, con l’anca destra più alta della sinistra. La figura indossa un lungo chitone con sopra un himation; la tunica, di cui si intravede l’ampia scollatura tondeggiante, scende fino a terra, lasciando scoperte le punte dei piedi, ed è mossa da pieghe sottili e pesanti, che assecondano lateralmente il movimento delle gambe. L’ampio himation avvolge il corpo e il capo della matrona, ricadendo intorno al braccio sinistro, che disteso e allungato, trattiene nella mano alcune spighe, opera del restauro ottocentesco. Sul petto, l’himation fascia il seno destro, sale sulla spalla sinistra girando dietro la schiena e passando sotto il gomito del braccio destro flesso, la cui mano, di restauro, stringe un lembo del velo, per poi tornare sulla spalla sinistra, dove si dispiega come una mantellina.
Integrata dal restauratore ottocentesco come Cerere con testa non pertinente, la scultura aveva originariamente una funzione di statua-ritratto; il panneggio richiama elementi tipici della produzione scultorea tardo-classica e proto-ellenistica, evocando confronti con le statue ritratto della sacerdotessa di Demetra Nikokleia di Knido (Londra, British Museum, inv. 1301) e Nikeso di Priene (Berlino, Antikensammlung 1928), in particolare per il rapporto tra la veste e il corpo, oltre ad analogie con la statua panneggiata nel Museo civico di Venezia (EA 2649), che suggeriscono una probabile elaborazione dello schema iconografico in ambiente microasiatico (Linfert 1976, pp. 40-41; Mendel 1996, p. 27). In età ellenistica sono noti numerosi esemplari di figure muliebri drappeggiate in varie libere elaborazioni del panneggio e dell’abbigliamento con funzione onoraria e commemorativa o funeraria; è soprattutto la destinazione funeraria a prevalere nelle sculture elaborate nel mondo romano.
La scultura Borghese trova confronti puntuali con una statua del I sec. a.C. proveniente da Magnesia sul Meandro oggi al Museo di Instanbul (inv. n. 610; Mendel 1966, pp. 26-27, n. 824), mentre una statua simile fu scelta a Perge per ritrarre Julia Domna ed è oggi conservata al Museo di Antalya (inv. A 3268; Inan 1974, pp. 657 ss, tavv. 210s; Özgür 1996; Alexandridis 2004, p. 199, n. 217, p. 258).
Nel nostro caso, il trattamento del panneggio può suggerire una datazione generica al II sec. d.C.
Jessica Clementi