La scultura muliebre, statua iconica variante della cosiddetta “Piccola Ercolanese”, tipo iconografico derivante da una statua rinvenuta nel teatro di Ercolano, rappresenta una matrona romana vestita di una lunga tunica e avvolta da un mantello, sostenuto con il braccio destro piegato al petto; la testa è una integrazione moderna. Il tipo, di cui sono noti circa 150 esemplari, fu particolarmente apprezzato nel mondo romano, tanto nell’arte sepolcrale quanto in quella onoraria, quale perfetta sintesi tra il classicismo delle forme e i valori morali di onore, decoro e pudore espressi dalla postura castigata e dall’ordinata disposizione del panneggio.
Già presente nel giardino della Villa di Porta Pinciana, la statua viene restaurata nel 1826 e inserita nella nuova collezione allestita nel Casino, esposta dapprima nella sala VIII e successivamente collocata nella sala V.
Già presente nella Villa di Porta Pinciana e collocata nel giardino “a dritta del viale che porta al Casino grande sul piazzone”, la statua viene recuperata nel 1826 da Evasio Gozzani ai fini dell’allestimento della nuova collezione nel Casino, depauperato dalla massiccia vendita delle opere a Napoleone Bonaparte (Moreno, Sforzini 1987, p. 352). Esposta dapprima nella sala VIII, solo a partire dalla metà del secolo scorso la statua trova definitiva collocazione nella sala V.
La scultura muliebre, diversamente identificata con “Giulia in atto di sacrificio” o con le Muse “Polimnia”o “Talia”, è più opportunamente classificabile come una statua iconica che raffigura una matrona romana secondo una variante della cosiddetta “Piccola Ercolanese”, tipo iconografico utilizzato per statue ritratto e molto amato tanto nell’arte sepolcrale quanto in quella onoraria romana (da ultimo Daehner 2007; Alexandridis 2010, 263–275 fig. 10, 4; Dillon 2010, 82–86; Trimble 2017, 335–337).
Stante sulla gamba sinistra e con la destra leggermente flessa e avanzata, la matrona è vestita di una lunga tunica di cui è visibile la parte inferiore, caratterizzata da pieghe profonde, ed è avvolta da un mantello, sostenuto con il braccio destro piegato al petto sino alla spalla sinistra, mentre l’avambraccio sinistro è disteso in avanti, con la mano serrata intorno a un lembo del mantello. La testa, con capigliatura a scriminatura centrale e ciocche ondulate trattenute da un diadema, è moderna e fu oggetto di varie integrazioni nel restauro ottocentesco.
Il tipo in esame e, insieme a questo, anche la “Grande Ercolanese”, devono il nome alle due statue eponime rinvenute nella frons scenae del teatro di Ercolano (1706-1713) oggi conservate all’Albertinum di Dresda, di cui si discutono identità, cronologia e paternità del prototipo. Il considerevole numero di repliche ha favorito proposte di attribuzione a famosi scultori – o alla loro cerchia – quali Prassitele, Lisippo o un artista di ambiente peloponnesiaco, mentre alcuni studiosi collocano la “Piccola Ercolanese” in età proto-ellenistica o entrambe all’inizio del III sec. a.C. in ambiente microasiatico. Altre ipotesi hanno individuato nella Grande e Piccola Ercolanese la coppia divina di Demetra e Kore, giustificando così le differenze di statura e abbigliamento ricorrenti nei due tipi, oltre alla presenza di attributi quali il papavero e la spiga di grano in alcune repliche della Grande Ercolanese. Recentemente si è diffusamente contrapposta una interpretazione “laica”, secondo la quale i due tipi avrebbero una genesi artistica indipendente e cronologicamente distante, ideati entrambi per statue ritratto funerarie o onorarie di sacerdotesse, cittadine di status elevato, poetesse o eroine. A differenza, dunque, di quanto si riscontra per altre statue ritratto, in cui la derivazione dall’immagine di divinità ha determinato una ampia adozione del tipo da parte di imperatrici o private, in questo caso è l’originaria pertinenza a una statua iconica celebrativa a determinarne il diffuso impiego in ambito ellenistico prima, romano poi. La perfetta sintesi tra il classicismo delle forme e i valori morali di honos, decor e pudicitia espressi dalla postura castigata e dall’ordinata disposizione del panneggio, infatti, danno ragione dell’ampio gradimento dei tipi nel mondo romano per statue iconiche di personaggi pubblici ed esponenti delle élites, la cui produzione si concentra fra I sec. a.C. e III sec. d.C.
Le oltre 147 repliche note della “Piccola Ercolanese” sono caratterizzate da una omogeneità nella impostazione generale della figura, cui si associa una grande varietà nella resa del panneggio del chitone, di lunghezza variabile, e della disposizione delle pieghe dell’himation, oltre alla possibile presenza del capo velato. Nel confronto con la statua di Ercolano la scultura Borghese si discosta per la ponderazione inversa e la posizione più elevata della mano destra, che determina una diversa caduta delle pieghe del mantello verso il braccio sinistro. La sensibile impressione di movimento e di torsione del busto, suggerita dall’atto di sollevare con la mano destra il mantello e posizionarlo sopra la spalla sinistra, e il panneggio accurato, con ampio utilizzo del trapano nella parte inferiore della tunica e nella ricaduta laterale a sinistra del mantello suggeriscono una datazione entro la prima metà del II sec. d.C.
Jessica Clementi