La statua, rinvenuta sul Colle Quirinale, è attestata alla fine del Quattrocento nella collezione del Cardinal Piccolomini e nel 1550 in quella del Cardinal Carpi. Nella Palazzina Borghese si ritrova esposta nel 1832 nella II sala e nel 1891 nella XX, al piano superiore. Trasferita in una nicchia della terrazza negli anni Trenta è posta nel Portico nel 2020, dopo un accurato intervento di restauro.
La scultura raffigura l’Ercole in riposo del tipo Seleucia-Borghese derivante da modelli ellenistici del IV secolo a.C. ispirati alla celebre opera del bronzista Lisippo, dei quali l’opera Borghese è da considerare un’elegante replica inquadrabile tra il I e il II secolo d.C.
La possente figura è adagiata con il braccio sinistro a una clava, posta a terra e coperta parzialmente dalla leontè. La mano destra, nascosta dietro la schiena, sorregge i pomi delle Esperidi.
Cardinale Francesco Piccolomini, proveniente dal colle Quirinale, rinvenuta intorno al 1480 (Moreno 1975-1976, p. 131); Cardinale Rodolfo Pio da Carpi, documentata nel 1550 (Canedy 1976, p. 68, R138 (in alto); p. 98, T92 (in basso); p. 112, T149 (in alto); Collezione Borghese, ricordata per la prima volta nel 1832 nella sala II (Nibby, p. 66). Acquisto dello Stato, 1902.
La scultura è documentata in un disegno della fine del Quattrocento, attribuito alla scuola del Ghirlandaio e conservato nel Codice Escurialense di Madrid. L’annotazione che accompagna l’immagine fornisce preziose notizie: “del chardinale di Siena/ trovato in Monte Chavallo/ nela chapella derchole” (28-II-12, Fol. 37r: Moreno 1975-1976, p. 131). Si trattava quindi, in origine, di una statua di carattere votivo - il Moreno la definisce addirittura di culto - esposta sul colle Quirinale e appartenente alla collezione di Francesco Piccolomini, Cardinale di Siena, divenuto Papa Pio III nel 1503, il cui palazzo sorgeva in Piazza di Siena a Roma (Moreno 1982, p. 464). L’Egger sostiene che la scoperta sia avvenuta nella tenuta appartenente alla famiglia Colonna, il cui giardino si estendeva sul versante nord-occidentale del Monte Cavallo, identificando nella Cappella d’Ercole - il cui nome deriverebbe dal torso del Belvedere, oggi ai Musei Vaticani - un tempietto presente nel giardino Colonna. L’autore afferma, inoltre, che il Cardinale Giovanni Colonna aveva donato al Cardinale Piccolomini l’Ercole Borghese per decorare il proprio palazzo edificato sulla piazza di Siena intorno al 1480. In occasione della costruzione della chiesa di S. Andrea della Valle, il palazzo venne obliterato e, secondo lo studioso, la scultura passò al Cardinale Rodolfo Pio di Carpi, il quale possedeva una vigna sul Quirinale (1905 pp. 106-107, fol. 37). La datazione di tale passaggio non può essere, però, accettata se si considera che la chiesa venne edificata nel 1590, mentre l’opera è menzionata presso la Vigna Carpi già nel 1550 da uno schizzo di Girolamo da Carpi e da un secondo dell’artista fiammingo Giambologna (Canedy 1976, p. 68, R138 (in alto); p. 98, T92 (in basso); p. 112, T149 (in alto); Fileri 1985, p. 16, nn. 9-10). L’Aldrovandi, inoltre, nel 1556 ne fornisce anche una dettagliata descrizione: “un Hercole ignudo intero, poggiato col braccio manco sulla clava sua; la quale viene da la pelle del leone coverta e sta sopra un tronco; l’Hercole tiene la sua mano dritta à dietro” (Aldrovandi 1556, pp. 295-296). I disegni del Giambologna, contenuti nel Codex Cantabrigiensis, presentano un’annotazione in alto a sinistra che riporta “Al Cardenale de Carpe 76”. Il Moreno ipotizza l’arrivo nella Palazzina Borghese nel XVII secolo, senza però, tuttavia, fornirne una documentazione (1975-1976, p. 131).
Nel 1832 il Nibby la ricorda all’interno della Palazzina Borghese nella II camera, assieme ad altre due di soggetto analogo, all’interno delle tre nicchie principali e le ritiene tutt’e tre di lavoro mediocre. La sala, inizialmente definita del Sole per la presenza del colosso radiato, viene successivamente nominata dell’Ercole su suggerimento del Nibby, il quale nota che “la molteplicità de’ monumenti che oggi racchiude si riferisce ad Ercole” (p. 66). Nel 1891 la scultura è trasferita nella IV camera al secondo piano, l’attuale sala XX, dove compare nella guida del Venturi (1893, p. 101). Intorno al 1935 nella sala è posta la piccola statua di Geta e l’Ercole Borghese viene spostato nella terrazza, posto all’interno dell’invaso di una finestra, trasformata in un’edicola, ornato superiormente da un motivo decorativo evocante un soffitto a cassettoni. Nel 2020, dopo un importante intervento conservativo, svolto al fine di intervenire sull’evidente degrado causato dalla collocazione esterna, la scultura è esposta nel Portico a pendant con l'Ercole del tipo Copenaghen Dresda (inv. CXXII) e sostituita da una replica moderna.
Il Moreno, che la definisce proveniente dagli Horti Bellaiani, posti tra i colli Quirinale e Viminale, elenca gli interventi apportati. La statua risulta ricomposta da diversi frammenti. Di restauro appaiono: la parte anteriore del plinto, il mignolo del piede destro, il dorso, l’alluce e altre due dita del piede sinistro, due schegge nelle cosce, le dita della mano sinistra, la mano destra con i pomi delle Esperidi, la parte superiore dell’arcata epigastrica con i due pettorali, la punta del naso; nella leontè i lembi pendenti e la parte inferiore delle mascelle (Moreno 1982, p. 510). La figura, stante, è sostenuta dalla gamba destra arretrata, mentre la sinistra è avanzata e scartata di lato. Il braccio sinistro si abbandona sorretto dalla clava, a sua volta puntata su una roccia a terra. La leontè, che ricopre la clava, mostra di tre quarti la testa del leone con i due lembi di pelle che, bipartiti, scendono simmetrici ai lati. Il braccio destro, piegato al gomito, è nascosto dietro al dorso e trattiene nella mano i tre pomi delle Esperidi. La testa, ruotata e inclinata verso sinistra, è sormontata da una fitta capigliatura di corposi ricci dal profondo chiaroscuro e dalla marcata plasticità che proseguono analoghi nella barba, dove si apre la bocca dischiusa, dalle piccole labbra carnose. Una lunga ruga, che attraversa orizzontalmente la fronte, e altre due verticali tra le arcate sopraccigliari, concorrono a sottolineare un’espressione pensierosa e corrucciata.
L’immagine ritrae l’Ercole in riposo del tipo Seleucia-Borghese, che trova la più antica testimonianza in una terracotta proveniente da Seleucia, sul Tigri, e conservata a Detroit, databile tra il 290 e il 141 a.C. Il tipo iconografico si caratterizza per una valorizzazione della visione di tre quarti da sinistra, cui convergono il piede sinistro e la testa di Eracle, la leggera inclinazione della clava e il muso leonino.
La ponderazione del corpo, poggiante sulla clava posta verticalmente a terra e adiacente al piede sinistro del protagonista, avvicina la scultura al tipo Anticitera-Sulmona, caratterizzato da una visione a tutto tondo. Il raddoppio della leontè, posto sotto l’ascella dell’eroe, tuttavia, sembra invece richiamare il tipo Farnese-Pitti.
Il Vermeule, che dedica un ampio studio al soggetto iconografico, individua quattro gruppi tipologici risalenti a un archetipo di fattura lisippea, inquadrabile nel 320 a.C. In tale suddivisione, l’opera Borghese è inserita nel secondo gruppo, derivante da una variante ellenistica di ambiente pergameno, datata al 200 a.C. (1975, p. 325, n. 4). Tale derivazione è proposta già dal Johnson che la inserisce in una lunga serie di repliche (1927, p. 198, n. 5, tav. 38b, 39). Il Lippold, ponendola a confronto con l’esemplare degli Uffizi che presenta medesime dimensioni, ritiene l’opera Borghese di miglior fattura (1926, p. 19, n. 2775-2777).
Nel vastissimo repertorio iconografico la scultura conservata presso gli Uffizi di Firenze e datata al II secolo d.C., è quella che mostra, in effetti, maggiori affinità con l’esemplare Borghese (Ensoli 1995, p. 295, fig. 15). Più difficile appare proporre un inquadramento cronologico puntuale, che, nonostante l’impiego del marmo pentelico, di provenienza greca, sembra potersi individuare tra il I e il II secolo d.C.
Giulia Ciccarello