La statua riproduce un giovane satiro in atteggiamento di riposo, appoggiato a un tronco in una posa elegante e languida. Il corpo, parzialmente coperto dalla pelle di pantera, è costruito secondo un ritmo sinuoso, e il viso, reclinato verso la destra dell’osservatore, mostra un’espressione serena e compiaciuta. Nel prototipo si riconosce generalmente un’opera matura dello scultore greco Prassitele, particolarmente apprezzata in età romana – come testimoniano le 114 repliche note – soprattutto per decorare atri, giardini e spazi interni di rappresentanza, sia in contesti pubblici che privati.
La scultura venne trasferita nella villa fuori porta Pinciana nel 1828, quando venne affidata ad Antonio d’Este per il restauro, prima dell’esposizione in sala VIII, e può forse essere identificata nel Satiro Ceoli acquistato dal Cardinale Scipione Borghese nel 1607 e collocato nel muro del giardino interno del Palazzo di città della famiglia Borghese, là dove lo raffigura un’incisione di Venturini della seconda metà del XVII sec.
Collezione Ceoli; Collezione Borghese, dal 1607 (citato nell’Inventario della primogenitura di Giovanni Battista Borghese, 1610, n. 8); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C, p. 54, n. 186. Acquisto dello Stato, 1902.
La statua riproduce un giovane satiro – riconoscibile dalle orecchie ferine e dalla pardalide - in atteggiamento di riposo, in una posa elegante e languida: la gamba sinistra, in tensione, sostiene il corpo appoggiato al tronco e la destra è leggermente flessa. Nella mano destra, di restauro, era serrato un oggetto, forse un flauto singolo o doppio. Il corpo è solo parzialmente coperto dalla pelle di pantera, drappeggiata dalla spalla destra al fianco sinistro; il muso della pardalide pende dalla spalla destra, coprendo l’ascella. La struttura compositiva, costruita secondo un ritmo sinuoso, disegna una “S” che corre lungo la mediana del corpo e termina in alto con il capo reclinato verso la destra dell’osservatore; il viso mostra un’espressione serena e compiaciuta, mentre lo sguardo sembra rivoltoverso un interlocutore frontale; i capelli, infine, sono riuniti in folte ciocche trattenute da una tenia.
La scultura venne trasferita nella villa fuori porta Pinciana soltanto nel 1828, quando venne affidata ad Antonio d’Este per il restauro prima dell’esposizione in sala VIII, in occasione dell’allestimento della nuova collezione nel Casino, depauperato dalla massiccia vendita delle opere a Napoleone Bonaparte. Secondo Paolo Moreno, può essere identificata nel Satiro disegnato da Andrea Boscoli presso Palazzo Ceoli di via Giulia, acquistato dal Cardinale Scipione Borghese insieme ad altre opere nel 1607 (Moreno, Viacava 2003, p. 251). L’opera, uno dei “Due Fauni bellissimi appoggiati ad un tronco” ricordati nell’inventario di primogenitura del 1610 (De Lachenal 1982, appendice VI, n. 8), venne collocata nel Palazzo Borghese in Campo Marzio, in una delle otto nicchie ricavate nel muro del giardino interno del Palazzo di città della famiglia Borghese, il cosiddetto Teatro, là dove lo raffigura un’incisione di Venturini della seconda metà del XVII sec (Falda 1691, tav. 11). Secondo un’altra ipotesi, invece, il Satiro Ceoli nel disegno di Boscoli andrebbe riconosciuto piuttosto in quello oggi conservato nel nuovo deposito del Museo Pietro Canonica (Campitelli 2001; Napoletano, Santolini 2013, p. 162).
Conosciuta anche come Satiro anapauomenos (a riposo), la scultura venne attribuita da J. J. Winckelmann e da E. Q. Visconti allo scultore greco Prassitele, ipotesi per lo più condivisa dagli studiosi, mentre ancora dibattuta è la possibile rispondenza con una delle statue di satiro attribuita dalle fonti allo scultore, come quella in marmo pario che Pausania (I, 43,5) ricorda nel tempio di Dioniso a Megara, o quella bronzea del periboetos – inserito da Plinio nel catalogo delle statue bronzee dell’artista (Naturalis Historia XXXIV, 69) – o, infine quella esposta sulla via dei tripodi ad Atene. Per quanto concerne la datazione del prototipo, le affinità con l’Afrodite Cnidia nella composizione ritmica della figura e nella torsione dei fianchi e con il coppiere di Dioniso negli accenni di tridimensionalità inducono a riconoscervi una elaborazione matura dello scultore (Mattei 2010).
L’opera è giunta a noi in almeno 114 repliche, prevalentemente provenienti da Roma e dintorni, ma diffuse anche in tutte le province dell’impero (Pasquier, Martinez 2007). A concorrere al successo del soggetto nel mondo romano vi fu l’ampia adattabilità dell’iconografia alla decorazione di atri e giardini e spazi interni di rappresentanza, sia in contesti pubblici che privati. I principali elementi che distinguono le repliche sono lo spazio che intercorre fra il tronco e il corpo del satiro, da cui dipende l’equilibrio stesso della figura, l’inclinazione della testa, se rivolta o meno verso il basso, e la presenza sul capo di una corona di pigne o una semplice tenia. La statua di Villa Borghese rientra nel gruppo di Satiri raffigurati in posizione frontale, con la testa inclinata e la spalla destra leggermente più alta della sinistra ed è accostabile a uno dei due esemplari conservati nella Gliptoteca di Monaco di Baviera (inv. 228). Alcune caratteristiche tecniche ed esecutive avvicinano l’esemplare a quello conservato ai Musei Capitolini (inv. S 739), la cui provenienza da Villa Adriana ne suggerisce l’inquadramento entro la produzione classicheggiante di età adrianea, forse il prodotto di una bottega urbana.
Jessica Clementi