La statuetta, di ridotte dimensioni, riproduce un’immagine di Artemide. Posizionata sulla gamba sinistra con la destra arretrata, veste un corto chitone, coperto da un himation, disposto diagonalmente al petto e raccolto in un nodo di abbondanti e morbide pieghe. Il braccio destro, di restauro, è sollevato, mentre il sinistro, rivolto verso il basso, trattiene con la mano parte del panneggio sull’anca.
Restaurata da Antonio d’Este nel 1828, la scultura subisce vari spostamenti per essere infine esposta nel 1888 nella III Sala. Il corto chitone, la disposizione dell’himation annodato sul davanti e la posizione delle braccia sembrano avvicinare la scultura, inquadrabile nel II secolo d.C., al tipo iconografico dell’Artemide Laphria, attribuita da Pausania allo scultore Damofonte, operante nel II secolo a.C.
Collezione Borghese, è ricordata nel 1828 tra le opere assegnate allo scultore Antonio d’Este per essere restaurate ed esposte nelle sale (Archivio Apostolico Vaticano, Archivio Borghese, b. 1007, fasc. 301: Moreno, Sforzini 1987, pp. 361-362). All’interno della Palazzina nel 1832 è menzionata nella sala II (Nibby, p. 79, tav. 44a). Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C., p. 46, n. 72. Acquisto dello Stato, 1902.
Nel 1828, nello studio di Antonio d’Este, è restaurata una “Statuetta di Diana ancor questa bizzarra tanto nel suo movimento che nel modo con cui è vestita, scolpita in marmo statuario, di proporzioni di palmi 4. Adattata una testa del proprio”. Come riportato nella Quinta Nota degli Oggetti Antichi provenienti dalla Villa Borghese, l’intervento è stimato per “80 scudi” (Archivio Apostolico Vaticano, Archivio Borghese, b. 1007, fasc. 301: Moreno, Sforzini 1987, pp. 361-362).
Nel 1832 la scultura è posta nella Sala II, sopra l’ara quadrangolare decorata dalle figure di un corvo e un cervo, motivi legati ai culti della dea Artemide e di Apollo (inv. XCIII: Nibby, p. 79, tav. 44a). Dopo la sistemazione della statua dell’Ercole effeminato è trasferita nella sala I, dove è testimoniata nell’Indicazione del 1854 (p. 13, n. 18). Nel 1888 è infine esposta nella la sala III, sua odierna collocazione, dove compare nella guida del Venturi del 1893 come “piccola statua forse di un’Amazzone”, della quale “di antico non v’è più che il torso” (p. 31). Il Giusti fornisce una lunga esegesi delle Amazzoni, riguardo la loro mitica origine e organizzazione. L’autore si dilunga inoltre circa la sopravvivenza di questa popolazione di sole donne attestata nel 1541 in America meridionale e dalla quale deriverebbe l’etimologia del fiume locale, il “Rio delle Amazzoni” (1904, p. 26).
La piccola figura presenta di restauro il plinto, il piede destro, la gamba sinistra fin sotto l’orlo della veste e il braccio destro con la spalla, che doveva in origine essere abbassato. Indossa un corto chitone con maniche, stretto sotto il seno; il balteo è coperto in parte dal mantello e attraversa diagonalmente il busto. L’himation, adagiato sulla spalla sinistra, cinge trasversalmente il corpo formando un sinus sul fianco destro ed è trattenuto dalla mano sinistra in un avviluppo di morbide pieghe sul fianco che ricadono verticalmente. Il corpo è stante, con la gamba sinistra a sorreggere il peso e la destra flessa a indirizzare il passo. La testa, che presenta una cesura di distacco al collo, è leggermente reclinata verso sinistra. Il viso, di forma ovale, mostra tratti morbidi e pieni. Gli occhi, dalle iridi lisce, sono leggermente incavati e sormontati da arcate sopraccigliari poco arcuate. Il mento è piccolo e prominente e la bocca, dalle labbra carnose, è incorniciata da due fossette laterali. La capigliatura, cinta da una tenia, è ordinata in morbide ciocche ondulate, scriminate al centro della fronte, e trattenute nella parte posteriore.
La figura, già interpretata come Amazzone, sembra richiamare il tipo iconografico dell’Artemide Laphria, la cui etimologia, ampiamente dibattuta, è probabilmente da legare alla sua funzione civilizzatrice della natura, animale e umana. In tale valenza l’epiteto si ritrova attribuito anche ad altre divinità, quali Atena, Ermes e Apollo (Lepore 1986, pp. 149-156).
Pausania riferisce diverse attribuzioni dell’originale Artemide Laphria, tra le quali quella che sembra potersi ritenere l’archetipo della scultura Borghese è riferita allo scultore Damofonte, operante a Messene e realizzata nel 191 a.C. (Pausania IV. 31, 7).
Il Lippold avvicina la scultura Borghese a una seconda analoga, conservata nel Parco della stessa Villa (n. 2800) e a una presente nel Giardino della Pigna in Vaticano (Amelung 1903, p. 865, n. 165, tav. 108). Tuttavia, la statua Borghese si differenzia dall’iconografia diffusa per la disposizione del panneggio, posto in diagonale invece che in orizzontale, a cingere la vita.
La trattazione della superficie del panneggio con pieghe fitte e corpose suggerisce una datazione nel II secolo d.C.
Giulia Ciccarello