Entrato nella raccolta piuttosto tardi come opera di autore ignoto, il dipinto è stato a lungo associato al nome del Bachiacca sulla base di analogie con le Storie di Giuseppe realizzate dall’artista e conservate in Galleria. L’attribuzione è oggi per lo più attestata sul nome di Antonio di Donnino del Mazziere.
Roma, Collezione Borghese, Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 20. Acquisto dello Stato, 1902.
L’opera è ricordata per la prima volta negli Elenchi fidecommissari del 1833 come di autore ignoto. Morelli (1897) la riferì a Francesco Ubertini detto il Bacchiacca, raccordandola alle storie di Giuseppe di mano del pittore conservate nella Galleria Borghese (invv. 425, 427, 440, 441) e supponendo che anch’essa facesse parte della decorazione della camera nuziale di Pier Francesco Borgherini a Firenze citata da Vasari. L’attribuzione al Bacchiacca e la provenienza Borgherini venne accolta da Berenson (1936), Venturi (1893), Longhi (1928) e Della Pergola (1959), mentre De Rinaldis (1948) suggeriva il nome del Franciabigio e Carlo Gamba (1957) quello del Sogliani. Nella sua ricostruzione della figura di Antonio di Donnino del Mazziere, Zeri (1962) la riferiva a quest’ultimo collegandola a un gruppo di opere da lui attribuite all’artista, ricordato da Vasari come allievo del Franciabigio. Notando nel dipinto “un certo qual stento disegnativo nel rendere i tipi e la scultura “senza errore” del Franciabigio, di Andrea e dei loro seguaci” (ivi, p. 234), Zeri lo riconduceva all’ambito di un gruppo di pittori attivi a Firenze nella prima metà del Cinquecento da lui definiti “eccentrici”. Lo studioso, inoltre, poneva in rapporto la tavola con un’opera già presso la collezione Weitzner a New York (Zeri 1962, p. 232, fig. 28) “la cui somiglianza con il pannello della Borghese è tale che ci si chiede se ambedue non facciano parte di una stessa serie.”
Anche Nikolenko (1966) respingeva l’attribuzione al Bacchiacca, senza tuttavia proporre un altro nome cui riferire il dipinto.
Antonio di Donnino del Mazziere proveniva da una famiglia di artisti. Sia il padre Donnino che lo zio Agnolo del Mazziere, infatti, furono pittori. Agnolo faceva parte del gruppo di artisti chiamati a Roma nel 1507-1508 da Michelangelo come consulente per la Cappella Sistina (cfr. Forlani 1960). Suo padre era a capo della bottega dei fratelli, e sembra probabile che il giovane Antonio vi abbia ricevuto una prima formazione, anche se Vasari lo annotò come allievo del Franciabigio.
Nell’opera sono descritti simultaneamente due episodi tratti delle Storie di Giuseppe ebreo (Genesi 37:12-36). Giacobbe, l’anziano barbuto con aureola, compare nei due estremi della tavola; sulla destra è in colloquio con il giovane figlio Giuseppe il quale, essendo da lui prediletto, attira le invidie dei fratelli. Questi, non avendo il coraggio di ucciderlo, dopo averlo calato in una cisterna, lo vendono agli Ismaeliti. Questo episodio si scorge in secondo piano, mentre sul proscenio Giacobbe ascolta il falso racconto della morte del figlio.
Elisa Martini