Questo dipinto, insieme agli altri tre pannelli raffiguranti L'arresto di Simeone (inv. 425); La ricerca della coppa rubata (inv. 440) e Il ritrovamento della coppa rubata (inv. 442), è attestato in collezione Borghese a partire dal 1650, segnalato da Iacomo Manilli come opera di Raffaello. Si tratta in realtà di una raffinata composizione eseguita dal giovane Bachiacca, un pittore fiorentino, allievo del Perugino, che nel 1515-16 assieme ad altri pittori partecipò alla decorazione della celebre camera nuziale di Pierfrancesco Borgherini. Il complesso, oggi disperso, era articolato in una serie di pannelli pittorici raffiguranti le Storie del patriarca Giuseppe (Gen 37-50), tra i quali compariva la presente tavoletta che, unitamente agli altri tre dipinti di collezione Borghese, decorava il piedistallo del letto.
Rappresenta Giuseppe, uno dei dodici figli di Giacobbe, qui ritratto con una veste rosa e un largo mantello verde mentre viene scortato in Egitto da alcuni uomini, con tutta probabilità i membri di quella carovana ismaelita alla quale, stando alla Bibbia, lo sfortunato ebreo fu venduto come schiavo dai suoi stessi fratelli. Sullo sfondo, in un paesaggio roccioso, compare un gruppo di uomini, tra i quali emergono un asino e un individuo con un cappello di paglia, forse Simeone, uno dei fratelli di Giuseppe, così raffigurato nel pannello raffigurante il suo arresto (inv. 425).
Cornice seicentesca - parte di un polittico (cm 44,5 x 61,5 x 6,6)
Firenze, collezione Piefrancesco Borgherini - Margherita Acciaiuoli, 1515-16 (Morelli 1897); (?) Roma, collezione cardinale Ferdinando de' Medici (qui ipotizzato); Roma, collezione Borghese, 1650 (Manilli 1650); Inventario 1693, Stanza VI, n. 43; Inventario 1700, Stanza III, n. 106; Inventario 1790, Stanza X, nn. 26, 27, 38, 39; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 9. Acquisto dello Stato, 1902.
"Fece [...] molte figurine ne' cassoni e nelle spalliere, che alla maniera sono conosciute differenti dalle altre" (Vasari 1568). Così, Giorgio Vasari presenta ai suoi lettori le pitture realizzate per i Borgherini da Francesco Ubertini il Bachiacca, artista fiorentino, allievo del Perugino, coinvolto in quella che fu una delle più fastose committenze fiorentine del secondo decennio del Cinquecento, richiesta nel 1515 da Salvi Borgherini per le nozze di suo figlio Pierfrancesco con Margherita Acciaiuoli. Per tale occasione, infatti, il pittore dipinse ben sei scene - due conservate alla National Gallery di Londra (Giuseppe riceve i fratelli, inv. 1218; Giuseppe perdona i fratelli, inv. 1219) e quattro in collezione Borghese (invv. 425, 427, 440, 442) - giudicate all'epoca 'differenti dalle altre' (cfr. Vasari 1568), ossia dai restanti pannelli commissionati ad Andrea del Sarto (Storie dell'infanzia di Giuseppe, Giuseppe interpreta i sogni del faraone), a Jacopo Pontormo (Giuseppe venduto a Putifarre, Supplizio del fornaio, Giuseppe riceve richieste d'aiuto dai fratelli, Giuseppe in Egitto) e a Francesco Granacci (Cattura di Giuseppe, Giuseppe presenta il padre e i fratelli al faraone), attualmente divisi tra Firenze (Galleria degli Uffizi, Palazzo Pitti ) e Londra (National Gallery).
Tale artificiosa decorazione, pensata per essere inserita secondo l'uso dell'epoca nella mobilia, decorava la camera da letto dei due giovani sposi, arredata da Baccio d'Agnolo con "spalliere, cassoni sederi e letto di noce" (Vasari 1568), ornati con pitture tratte dalle Storie del patriarca Giuseppe (Gen 37-50). Questo soggetto, come è noto, ben si prestava a rimarcare le qualità del perfetto sposo che, al pari del viceré egiziano, doveva dimostrarsi un ottimo amministratore della sua casa, nonché fedele alla sua signora - noto è l'episodio del giovane ebreo che respinge le avances della moglie di Putifarre - al quale veniva così augurata una discendenza numerosa come quella del patriarca biblico.
Come si può facilmente immaginare, questo sofisticato apparato, terminato intorno al 1517, attirò le attenzioni di raffinati collezionisti, a partire dai Medici che nel 1529 decisero di farne dono al re Francesco I di Francia, cui però si oppose tenacemente Margherita Acciaiuoli che di fatto si rifiutò di acconsentire a tale richiesta. È noto, a tal proposito, la pungente risposta data dalla nobildonna a Giovanni Battista della Palla, dopo che quest'ultimo, agente del sovrano francese, aveva provato a far smantellare l'addobbo per accaparrarsi i pregiati pannelli: "[...] vilissimo rigattiere, mercantuzzo di quattro denari [...] questo letto che tu vai cercando per lo tuo particolare interesse e ingordigia di denari [...] è il letto delle mie nozze, per onor delle quali Salvi mio suocero fece tutto questo magnifico regio apparato, il quale io riverisco per memoria di lui e per amor di mio marito, ed il quale io intendo col proprio sangue e colla stessa vita difendere" (Vasari 1568; Ranalli 1845).
Purtroppo, però, a nulla valsero le proteste di Margherita, rese vane dai suoi stessi eredi che intorno alla metà degli anni Ottanta del Cinquecento acconsentirono alla distruzione del complesso: nel 1584, infatti, Francesco I de' Medici ottenne le tavole di Andrea del Sarto e del Granacci mentre ben quattro delle sei scene realizzate dall'Ubertini giunsero a Roma. Come quest'ultime approdarono nell'Urbe è tuttora sconosciuto, sebbene sia molto probabile che tramite il principe mediceo, pervennero nelle mani del cardinale Ferdinando de' Medici e da questi lasciate, una volta tornato a Firenze per prendere il posto del defunto fratello, al cardinale Scipione Borghese, cui come è noto appartennero diverse opere già di proprietà del ex porporato, come i due rametti (Galleria Borghese, invv. 292, 293) e la tavola con Amore e Psiche (Galleria Borghese, inv. 010) di Jacopo Zucchi.
Tuttavia, se si eccettua tale ipotesi, resta comunque certo che nel 1650 i quattro pannelli erano già nelle mani dei Borghese, i quali li avevano precedentemente destinati alla palazzina di Porta Pinciana dove furono visti e descritti da Iacomo Manilli come opera di Raffaello (Id. 1650), nome scartato da Giovanni Morelli e da questi rivisto con quello dell'Ubertini, identificando debitamente le opere con le stesse provenienti da Palazzo Borgherini (Morelli 1897). Tale pista, sposata da tutta la critica (Longhi 1928; De Rinaldis 1937; Berenson 1938; Marcucci 1958; Della Pergola 1959; Freedbreg 1961; Id. 1963; Monti 1965; Nikolenko 1966; Braham 1979; La France 2008), fece di fatto cadere tutte le altre attribuzioni sostenute fino a quel momento dagli studiosi, comprese le descrizioni inventariali che assegnavano variamente le tavolette a Giulio Romano (Inv. 1693) e a Orazio Gentileschi (Inv. 1700; Inv. 1790; Inv. Fid. 1833; Piancastelli 1891), quest'ultimo forse suggerito dalla presenza nella medesima collezione di un quadro con Giuseppe spiega i sogni ai prigionieri (inv. 148) già erroneamente avvicinato al pittore caravaggesco.
Per quanto concerne la loro prima collocazione nell'alcova Borgherini, la maggior parte degli studiosi (Rosini 1848; Shearman 1965; Braham 1979; Bartoli 1996) propende per una loro disposizione agli angoli inferiori del piedistallo del letto, escludendo l'ipotesi avanzata da Giorgio Vasari a proposito della spalliera (Id. 1568) dove di contro pare fossero alloggiati altri quattro pannelli oggi dispersi (Monti 1965). Stilisticamente parlando, invece, tutti concordano nel sottolineare la conoscenza da parte del pittore fiorentino del repertorio ultramontano di Albrecht Altdörfer e di Luca di Leida (Bartoli 1996; Stefani 2000), nonché dei modelli figurativi del Perugino (Abbate 1965; Nikolenko 1966), di Raffaello (Abbate 1965), del Franciabigio (Marcucci 1958; Mancini 1998) e di Andrea del Sarto (Bartoli 1996) dal quale effettivamente fu "[...] molto aiutato e favorito nelle cose dell'arte" (Vasari 1568).
Alcuni dubbi persistono ancora sull'interpretazione della scena in esame - da alcuni letta come Simeone condotto in carcere (Braham 1979; Bartoli 1996) o come Giuseppe ordina di imprigionare Simeone (Dolcini 2010) - così come su quella raffigurante l'Arresto di Simeone talvolta compresa come l'Arresto dei fratelli (Della Pergola 1959; Stefani 2000; Herrmann Fiore 2006; Riccardo 2020).
A queste opere, eseguite tra il 1515-16 (cfr. da ultimo Bartoli 2016), sono stati avvicinati diversi disegni autografi conservati tra Firenze (Gallerie degli Uffizi, inv. 350bis), Parigi (Museo del Louvre, inv. 9874) e Vienna (The Albertina Museum, inv. 152), resi noti negli anni dal Morelli (1897), Bernard Berenson (1937), Arthur K. McComb (1926), Giovanna Gaeta Bertelà (1980), Chris Fischer (1984) e di recente da Beatrice Riccardo (2020).
Antonio Iommelli