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Testa di apostolo

Maniera di Rubens Pieter Paul

(Siegen 1577 - Anversa 1640)

Studi recenti hanno portato all’individuazione dell’opera nell’inventario Borghese del 1693, permettendo di ricostruire la sua presenza in collezione a partire almeno da tale anno. Già attribuito a Ludovico Carracci sulla scorta della descrizione riportata nell’inventario fidecommissario del 1833, il dipinto è stato successivamente accostato al nome di Peter Paul Rubens, senza tuttavia trovare una definitiva conferma. La sua attribuzione rimane tuttora incerta.


Scheda tecnica

Inventario
108
Posizione
Datazione
inizio del secolo XVII
Tipologia
Periodo
Materia / Tecnica
olio su tela
Misure
cm 44 x 35
Cornice

‘800 con quattro palmette angolari cm. 58,3 x 49 x 8 

Provenienza

Inventario 1693, Stanza VIII n. 13 (?); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 16, n. 6. Acquisto dello Stato, 1902.

Mostre
  • 2002-2003 Roma, Galleria Borghese
Conservazione e Diagnostica
  • 1953 Jolanda Scalia Ventura
  • 2000 Consorzio Capitolino (indagini diagnostiche)
  • 2000 Elisabetta Caracciolo e Elisabetta Zatti
  • 2002 Editech (indagini diagnostiche)
  • 2004 ENEA (indagini diagnostiche)
  • 2004 Elisabetta Caracciolo e Elisabetta Zatti

Scheda

Il dipinto, di provenienza indeterminata, non è facilmente individuabile fra i ritratti e le teste che compaiono in gran numero ma con descrizione sommaria negli inventari della collezione Borghese.

Paola Della Pergola (1959, p. 184) individua il primo riferimento sicuro all’opera nell’elenco fidecommissario del 1833, alla voce “Testa di un Profeta, di Carracci, stile del Correggio, largo palmi 1, oncie 11; alto palmi 2, oncie 5”. A partire da questa citazione, Sara Tarissi de Jacobis (2002, pp. 100-101) procede a ritroso negli inventari e individua delle corrispondenze rispettivamente in quello di fine Settecento, alla voce “Il Profeta, Correggio”, e, ancor prima, in quello del 1693, dove compare “un quadro di due palmi in circa con la testa di un vecchio in tela del n. 74 con cornice dorata del Correggio”. Quest’ultima descrizione trova riscontro con il dipinto Borghese anche per supporto e dimensioni e indica la probabile presenza dell’opera in collezione Borghese già a partire da tale anno.

L’opera è attribuita a Ludovico Carracci da Adolfo Venturi (1893, p. 88), seguito da Giulio Cantalamessa, mentre Roberto Longhi riporta il nome dell’artista bolognese come incerto.

Della Pergola è la prima ad accostare il quadro a Peter Paul Rubens, in particolare al suo periodo mantovano, richiamando a supporto il contributo di Michael Jaffé (Some Unpublished Head Studies by Peter Paul Rubens, in “The Burlington Magazine”, XCVI, 1954, pp. 302-304) sulla prassi consueta per l’artista di eseguire studi di singoli particolari delle composizioni, come appunto le teste. Questa pratica risultava utile per la valutazione dell’effetto finale di un dipinto, non solo da parte dell’artista ma anche dei committenti, per un giudizio in corso d’opera, e dei collaboratori di bottega, spesso chiamati ad intervenire sulle pitture ordinate al maestro.

La studiosa mette in rapporto il dipinto Borghese con questi lavori e suggerisce come termine di confronto il Seneca della Pinacoteca di Monaco, concludendo che, sebbene l’interrogativo rimanga aperto, il nome di Rubens si rivela più convincente rispetto a quello di un componente della scuola bolognese.

Ad oggi questa proposta è stata ripresa, seppur dubitativamente, solo nel catalogo delle opere Borghese redatto da Kristina Hermmann Fiore nel 2006 (p. 39), mentre qualche anno prima Tarrissi de Jacobis (2002, pp. 100-101) è tornata sul nome di Ludovico, ritenendolo il più convincente. Dal confronto dell’opera Borghese con altri soggetti simili di Rubens, come la serie degli Apostoli conservata al Prado di Madrid, si ricavano infatti varie difformità nei modi e nella resa di dettagli quali i capelli e le rughe del volto. La studiosa, riconoscendo nella Testa di Apostolo una forte impronta emiliana, ribadisce come il nome di Ludovico rimanga ad oggi il più plausibile, anche per il suo legame con il modello correggesco.

L’opera subì un ampliamento in epoca indeterminata, perdendo il suo originario andamento verticale in favore di un formato quadrato, e venne riportata alle dimensioni iniziali soltanto nei primi anni Cinquanta grazie ad un intervento di restauro (Della Pergola, cit.).

Pier Ludovico Puddu




Bibliografia
  • G. Piancastelli, Catalogo dei quadri della Galleria Borghese in Archivio Galleria Borghese, 1891, p. 186;
  • A. Venturi, Il Museo e la Galleria Borghese, Roma 1893, p. 88;
  • G. Cantalamessa, Note manoscritte al Catalogo di A. Venturi del 1893, in Archivio Galleria Borghese, 1912, n. 108;
  • R. Longhi, Precisioni nelle Gallerie Italiane, I, La R. Galleria Borghese, Roma 1928, p. 187;
  • P. Della Pergola, La Galleria Borghese. I Dipinti, II, Roma 1959, p. 184, n. 274;
  • S. Tarissi de Jacobis, in Incontri, catalogo della mostra (Roma, Galleria Borghese, 2002-2003), a cura di C. D’Orazio, Milano 2002, pp. 100-101;
  • K. Herrmann Fiore, Galleria Borghese Roma scopre un tesoro. Dalla pinacoteca ai depositi un museo che non ha più segreti, San Giuliano Milanese 2006, p. 39.