Documentata in collezione Borghese a partire dal 1833, questa Testa di frate dimostra l'importanza delle esperienze pittoriche passate sulla riflessione artistica dei Carracci, in primo luogo di Raffaello, la cui classicità viene assimilata e accostata ai canoni naturalistici e illusionistici delle diverse scuole italiane, giungendo a un'originale sintesi dei modelli offerti da Tiziano, Michelangelo, Correggio e Veronese.
Roma, collezione Borghese, 1833 (Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 23). Acquisto dello Stato, 1902.
Elencata per la prima volta in collezione Borghese nel 1833, questa Testa di frate fu riferita da Adolfo Venturi (1893) alla scuola di Agostino Carracci, giudizio non condiviso da Roberto Longhi che nel 1928 vi vide a ragione uno studio da esemplare cinquecentesco. Infatti, come segnalato debitamente da Paola delle Pergola (1955) questo dipinto riproduce uno dei personaggi raffigurato da Raffaello nel 1509 nella Stanza della Segnatura in Vaticano, in particolare il profilo del frate che appare nel gruppo a sinistra nell'affresco con la Disputa del Sacramento.
L'opera, ritenuta da Della Pergola di un seguace di Annibale Carracci, è stata in seguito attribuita ad Agostino (cfr. Herrmann Fiore 2006) e datata intorno ai primi anni del XVII secolo. Quale che sia l'autore, è chiaro che questa Testa esprime l'importanza sulla pittura carraccesca delle opere di Raffaello, elevato a campione del bello e della grazia ideale.
Antonio Iommelli