Il dipinto, la cui attribuzione è stata molto discussa, viene oggi ritenuto quasi all’unanimità opera di Jusepe de Ribera, detto lo Spagnoletto. Si pensa che la sua esecuzione sia collocabile subito dopo l’arrivo a Roma dell’artista, intorno al 1612. La precocità della datazione fa di quest’opera un cardine basilare per lo sviluppo di un filone di pittura pauperistica che avrà larga fortuna a Roma nei decenni successivi.
Salvator Rosa cm. 128 x 96 x 7,5
Collezione di Scipione Borghese, citato per la prima volta nell’Inventario ante 1633 (Corradini 1998, p. 454, n. 193); Inventario 1693, Stanza VII, n. 17; Inventario 1790, Stanza X, n. 21; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 21, n. 32. Acquisto dello Stato, 1902.
Il dipinto rappresenta un povero mendicante ripreso frontalmente a mezza figura, con in mano il cappello rovesciato come in atto di chiedere l’elemosina.
Il quadro è stato al centro di una dibattuta questione attributiva fino al 2002, quando Gianni Papi (pp. 26-27) lo ha ricondotto definitivamente alla mano di Jusepe de Ribera, detto lo Spagnoletto. Lo studioso ha individuato l’opera nell’inventario del cardinale Scipione Borghese scoperto e pubblicato da Sandro Corradini (1998, p. 454, n, 193), databile al 1633 circa, in cui compare al numero 193: “Un quadro d’un Mendicante cornice di noce alto 4 1/3 largo 3 Spagnoletto” (per la datazione dell’inventario si veda S. Pierguidi, “In materia totale di pitture si rivolsero al singolar Museo Borghesiano”, in “Journal of the history of collections”, XXVI, 2014)
Negli inventari successivi il dipinto ritorna con diverse attribuzioni, descritto come opera di Caravaggio nel 1693, assegnato nuovamente a Ribera nel 1790, e infine di scuola fiamminga nell’elenco fidecommissario del 1833. Nel corso degli anni gli studiosi hanno avanzato varie ipotesi, da Bartolomeo Manfredi (Venturi 1893, p. 161) a Dirck Van Baburen (Longhi 1928, pp. 26, 208; Della Pergola 1959, pp. 144-145, n. 198; Brejon de Lavergnée 1993, p. 208), proposta rifiutata da Leonard Slatkes (1965, p. 163), all’olandese Wouter Crabeth II (Nicolson 1979, p. 46; id. 1990, I, p. 103; Spinosa 1992, p. 55). La proposta di Gianni Papi di assegnare il Mendicante a Ribera, sostenuta anche su base stilistica, viene poi condivida da Nicola Spinosa (2003, p. 249, n. A1), e il dipinto prende parte alle recenti mostre dedicate all’artista spagnolo rispettivamente a Salamanca (si veda Spinosa 2005, p. 42, n. 1), Madrid e Napoli (si veda Papi 2011, 120, n. 8).
La provenienza dell’opera è tuttora sconosciuta, ma data la sua presenza nel più antico inventario noto della collezione di Scipione Borghese, è verosimile che quest’ultimo avesse acquistato il quadro poco tempo dopo la sua esecuzione, o che ne fosse addirittura il committente. Il cardinale, come noto, è infatti uno dei più fini estimatori dell’arte caravaggesca e mecenate di molti artisti contemporanei.
La datazione del dipinto si aggira intorno al 1612, in coincidenza con l’arrivo a Roma del giovane Ribera, la cui presenza in città è attestata con sicurezza dal 1613 ma dove verosimilmente si trovava già a partire dall’anno precedente. L’inizio del soggiorno in ambiente romano, durato fino al 1616, coincide con il momento di svolta in senso caravaggesco della produzione dell’artista, a cui l’opera in esame va certamente ricondotta (Spinosa 2003, cit.; Papi 2005, p. 250, n. III.1; id. 2011, p. 120, n. 13; id. 2014, p. 202, n. 27). La cronologia del dipinto trova conferma nella sua affinità stilistica con il San Girolamo nello studio della raccolta Tenenbaum a Toronto (in deposito presso l’Art Museum of Ontario), databile al 1615 circa, noto anche in una seconda versione già presso le Trafalgar Galleries di Londra. L’analogia tra il Mendicante e il San Girolamo, riscontrabile sia nella resa naturalistica dei tratti somatici ed espressivi sia nella pennellata libera e sfrangiata, era già stata notata da Spinosa all’inizio degli anni Novanta, quando ancora attribuiva i due dipinti a Crabeth.
La precocità della datazione fa di questo dipinto il cardine basilare di tutto un filone pittorico di grande fortuna a Roma a partire dalla fine del secondo decennio in poi. Da qui in avanti si diffondono le rappresentazioni di soggetti umili, modesti lavoratori o poveri mendicanti, ritratti singolarmente o in gruppo, secondo una tendenza riscontrabile anche in ambiente nordico (Papi 2005, cit.; id. 2011, cit.; id. 2014, cit.). Il Mendicante di Ribera rimane comunque una delle più alte raffigurazioni di questo genere rivoluzionario, soprattutto grazie alla maniera con cui viene affrontato il soggetto, con la stessa monumentalità riservata a personaggi di più alto rango quali filosofi e santi, assimilabile, secondo Papi, alla serie di Apostoli di provenienza Cussida (poi Gavotti) che già Longhi aveva ricondotto al Maestro del Giudizio di Salomone (R. Longhi, Ultimi studi sul Caravaggio e la sua cerchia, in “Proporzioni”, I, 1943, p. 58). Papi, deciso sostenitore dell’identificazione del Maestro con il giovane Ribera, individua il confronto più convincente nel San Bartolomeo (Firenze, Fondazione Longhi) della serie, a cui il Mendicante è affine per quella frontalità dirompente e la fissità dello sguardo, elementi di grande impatto sullo spettatore (si veda anche Papi 2005, p. 260, n. III. 6-7). La figura emerge in primo piano da un fondo scuro, indefinito, colpita da un fascio di luce che proviene lateralmente dall’alto e che illumina le vesti ormai lacere e il volto profondamente segnato, caratterizzato da una straordinaria forza espressiva.
Pier Ludovico Puddu