Il dipinto è stato accostato al nome di Jan Brueghel il vecchio a metà del Novecento e, nonostante alcune perplessità avanzate dalla critica nel corso degli anni, l’artista fiammingo rimane ancora oggi il riferimento predominante. Di provenienza incerta, l’opera corrisponde forse ad uno dei dodici quadretti in rame di fiori e frutti acquistati dai Borghese presso Giacomo Costa nel 1613.
Un’altra composizione simile, con piccole varianti ma di più grandi dimensioni, si conserva anch’essa nella Galleria.
fine ‘700/’800 cm. 82 x 26 x 4
Inventario 1693, Stanza XI, n. 119; Inventario 1790, Stanza VI, n. 10 / Stanza VII, n. 15; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 31, n. 102. Acquisto dello Stato, 1902.
Il dipinto rappresenta una caraffa di vetro dalla forma arrotondata, colma di una grande varietà di fiori. Sul piano di appoggio, dalle sembianze di un tavolo in legno, sono caduti alcuni fiori e petali, mentre un fascio di luce si riflette lateralmente sul vetro risaltandone la trasparenza.
La composizione presenta diverse analogie con un’altra natura morta di fiori presente nella Galleria Borghese (inv. 362), anch’essa in rame ma di dimensioni poco più grandi e con l’aggiunta di alcuni dettagli, quali la farfalla rappresentata in basso a sinistra della scena e il riflesso di una finestra visibile nella trasparenza del vetro della caraffa (cfr. Stefani 2000, p. 209; Curti 2011, p. 218).
I due dipinti sono stati riferiti alla mano di Jan Brueghel il vecchio, figlio di Pieter Brueghel, da Paola Della Pergola (1959, pp. 154-155, nn. 220-221), la quale vi riconosce una finezza tale da giustificare tale attribuzione.
Precedentemente, Adolfo Venturi (1893, p. 221) aveva ascritto i due quadri al pittore tedesco Abraham Mignon, nome rifiutato da Roberto Longhi (1928, p. 225) senza tuttavia avanzare altre proposte.
Il riferimento a Brueghel per il quadretto qui esaminato rimane predominante fino ad oggi, nonostante i dubbi avanzati da Stefania Bedoni (1983, pp. 53-55) e l’espunzione del dipinto dal catalogo dell’artista da parte di Klaus Ertz (1979, p. 278), il quale lo descrive come opera di ignoto. Sergio Guarino (1995, p. 108), pur condividendo le perplessità avanzate dagli altri studiosi, ammette la difficoltà ad individuare un’altra mano dietro l’esecuzione dell’opera, motivo per cui anche in questa sede si è scelto di mantenere tale riferimento.
In merito all’identificazione del quadro negli inventari Borghese, esso risulta difficilmente individuabile con sicurezza. Nell’elenco di beni del 1693 l’opera potrebbe corrispondere alla voce “un quadretto con vaso di fiori, alto tre 4rti. Cornice nera […] incerto”, mentre in quello del 1790 è stato messo in relazione ad una coppia di quadri di Mario dei Fiori (Della Pergola, cit.), ma potrebbe coincidere anche con un “Quadretto di fiori in rame, maniera fiamminga” che si ritrova anche nel 1833.
Per quanto riguarda la provenienza, il dipinto potrebbe essere stato acquisito da Scipione Borghese tramite il noto sequestro dei beni perpetrato ai danni del Cavalier d’Arpino (Giuseppe Cesari) nel 1607, oppure, più convincentemente, potrebbe far parte dei “dodici quadretti de diversi frutti e fiori depinti in Rame” comprati da Giacomo Costa nel 1613, di cui rimane traccia nei documenti (Della Pergola cit., p. 217, n. 60). Nonostante la genericità di entrambe le citazioni, quella che compare nell’elenco del sequestro d’Arpino fa riferimento ad un quadro, lasciando intendere più grandi dimensioni rispetto a quello Borghese, e non specifica il supporto, elemento spesso riportato qualora non si tratti della comune tela (Cavazzini 2012, p. 435). Inoltre, come notato da Guarino (cit.), le prime composizioni certe di Brueghel in quest’ambito risalgono al 1606 circa, elemento che si accorderebbe maggiormente con l’ipotesi di acquisizione più avanzata cronologicamente.
Tra le perplessità avanzate da Bedoni (cit.) circa l’attribuzione dell’opera a Brueghel rientra l’atipicità della scelta di rappresentare un vaso di vetro, che tuttavia può essere spiegata da un interesse generale dell’epoca, a cui neanche Caravaggio fu estraneo, per i riflessi di luce, le trasparenze e le superfici specchiate (Herrmann Fiore 2000, p. 190).
Pier Ludovico Puddu