Il dipinto proviene, con la Cacciagione da penna e civetta, dal celebre sequestro ai danni del Cavalier d’Arpino, operato da Scipione Borghese nel 1607. Studi recenti hanno individuato nelle due tele – attribuite in passato anche a Caravaggio – la medesima mano, riferita all’ancora sconosciuto Maestro di Hartford, cosiddetto convenzionalmente dall’omonima città americana in cui si conserva la prima opera a lui riferita. Lo stile del pittore, forse attivo con il Merisi nella bottega dell’Arpino, riprende alcuni elementi dalle composizioni caravaggesche (il fondo scuro, il taglio obliquo della luce, la cesta di vimini intrecciata, la precisione nell’eseguire i diversi elementi floreali, vegetali e animali). La presenza dei due dipinti nella nota del sequestro, si pone come sicuro termine per la loro esecuzione, avvenuta sicuramente entro il 4 maggio del 1607. La lucertola e il ramarro, raffigurati al centro della composizione, vanno riferiti all’intento moralistico sotteso nell’opera: il loro sangue freddo viene infatti riconosciuto come positivo, in grado di riportare l’uomo sulla retta via in caso di disattenzione.
Salvator Rosa, cm. 132 x 191 x 10
Questa tela faceva parte, così come il suo pendant Cacciagione da penna e civetta (inv. 301), della collezione di dipinti del Cavalier d’Arpino (Giuseppe Cesari). Nel 1607 il pittore, accusato di detenzione illegale di armi, subì il sequestro della sua raccolta per volere di Paolo V, il quale ne fece poi dono al cardinale Scipione Borghese. Quest’ultimo entrò così in possesso dei 105 quadri allora presenti nella bottega del Cesari, tra cui figuravano anche celebri opere di Caravaggio, quali il cosiddetto Bacchino malato e il Giovane con canestra di frutta (invv. 534, 136).
L’opera non è stata sempre riconosciuta come pendant della tela rappresentante Cacciagione da penna e civetta, circostanza che ad oggi trova una definitiva conferma grazie alle indagini diagnostiche effettuate da Davide Bussolari (2016, pp. 279-289) in occasione della mostra romana L’origine della natura morta in Italia. Caravaggio e il maestro di Hartford (Galleria Borghese, 2016-2017): le due tele sono infatti di identica tipologia e costituite ciascuna da due pezze unite orizzontalmente con lo stesso metodo di cucitura. La leggera differenza riscontrabile tra le dimensioni dei due dipinti è stata ricondotta ad alcune decurtazioni effettuate in epoca imprecisata che hanno interessato soprattutto i lati minori e che spiegano l’insolito taglio di alcuni degli elementi rappresentati alle estremità della scena.
L’analisi del disegno preparatorio e della tecnica pittorica ha permesso di smentire definitivamente alcune delle numerose ipotesi attributive che nel tempo hanno interessato questa coppia di dipinti, e che proponevano di riconoscervi la presenza di differenti mani (per primo Marini 1978-1979, p. 43, nota 128). In entrambi i casi il tratto è sottile e schematico, tracciato direttamente sull’imprimitura, e l’esecuzione pittorica è caratterizzata da una meticolosa sovrapposizione di velature di colore. La corrispondenza di questi elementi di natura strettamente tecnica, seppur convalidanti la tesi di un unico autore dietro l’esecuzione di queste due nature morte, non risulta tuttavia determinante per arrivare alla sua identificazione certa, questione che ha visto la critica divisa tra molteplici ipotesi.
Negli anni Settanta, dopo che Carlo Volpe (1972, pp. 73-74) e Mina Gregori (1973, p. 46) avevano proposto il nome di Giovanni Battista Crescenzi, Federico Zeri (1976, pp. 92-103) mette per la prima volta in relazione il pendant Borghese con la Natura morta con frutta, cesto e vasi di fiori (Hartford, Wadsworth Atheneum Museum of Art) dell’artista noto convenzionalmente con il nome di Maestro di Hartford, dalla città in cui l’opera è conservata, di cui tuttora si ignora l’identità. Da lì in poi la coppia di tele Borghese, a cui lo studioso riconosce un’affinità stilistica con il “namepiece” del museo di Hartford, entrano legittimamente a far parte del un nucleo di opere già gravitanti intorno al nome del Maestro.
Sulla scorta di quanto già affermato da Paola Della Pergola (1959, II, p. 170, n. 248), che ha giustamente identificato Cacciagione da penna e civetta con il quadro descritto al n. 38 dell’inventario del sequestro al Cavalier d’Arpino, lo stesso Zeri individua il Vaso di fiori, frutta e ortaggi al numero successivo del medesimo elenco, confermando di fatto in maniera conclusiva la provenienza delle due tele dalla bottega dell’artista. Al n. 39, infatti, viene citato “Un altro quadro con diversi frutti et fiori senza cornici”. Ricercando nell’ambito della bottega dell’arpinate la personalità a cui poter ricondurre i dipinti fino a quel momento raggruppati intorno alla natura morta di Hartford, comprese appunto le tele Borghese, lo studioso propone di identificarne l’autore nel giovane Caravaggio durante la sua prima permanenza a Roma, quando si trovò a frequentare per alcuni mesi la bottega del Cesari. Quest’ultima circostanza, ritenuta fino a pochi anni fa riconducibile al 1593, è stata recentemente postdatata a cavallo tra il 1596 e il 1597 ed è ancora al centro del dibattito critico (per un approfondimento R. Gandolfi, A. Zuccari, I primi anni di Caravaggio, in Dentro Caravaggio, cat. mostra (Milano, Palazzo Reale, 2017-2018), a cura di R. Vodret Adamo, Milano 2017, pp. 249-260).
Successivamente Maurizio Marini (1978-1979, cit.), avanza l’ipotesi di un’esecuzione collegiale del Vaso di fiori, frutta e ortaggi, in cui riconosce almeno tre mani: quella del Maestro di Hartford, un’altra affine ai modi di Pietro Paolo Bonzi, e una terza, migliore, che non esclude possa appartenere proprio a Caravaggio. Negli anni seguenti, Marini (1981, p. 50; 1984, p. 13; 2005, pp. 130-131, 369-370) torna più volte su quest’opera e le altre del gruppo Hartford, sostanzialmente ribandendone l’eterogeneità ma confermando che la loro esecuzione sia certamente da ricondursi all’ambito della bottega dell’arpinate, dato accolto dalla critica pressoché all’unanimità (si veda a questo proposito la recente disamina di Nicosetta Roio, 2018, pp. 383-394).
L’ipotesi di una partecipazione di Caravaggio ai quadri Borghese, smentita con forza da Maurizio Calvesi in un articolo apparso su “L’Espresso” (11 febbraio 1979), è stata al centro delle riflessioni, più o meno aperturiste, dei molti studiosi che nel tempo si sono dedicati allo studio del gruppo Hartford e più in generale al tema della nascita e dello sviluppo della natura morta in Italia.
Al momento dell’esposizione dei due quadri Borghese a Roma nel 1979, Claudio Strinati (1979, pp. 62-65) accoglie cautamente l’attribuzione a Caravaggio, mentre quattro anni dopo a New York, esposti insieme alla natura morta del museo di Hartford, vengono tutti presentati come opere un seguace del maestro (Spike 1983, pp. 41 segg.).
Negli anni Novanta, per il solo Vaso di fiori, frutta e ortaggi Ferdinando Bologna (1992, pp. 287-290) avanza il nome di Tommaso Salini, mentre Minna Heimbürger (1993, pp. 69-84) lo riferisce, insieme al pendant, al fiammingo Frans Snyders, ipotesi generalmente non condivisa dalla critica.
Ancora in tempi recenti vediamo susseguirsi una serie di tentativi di identificare il Maestro di Hartford, se non con Caravaggio stesso, con uno degli artisti compresenti nella bottega del Cesari o che possa aver avuto legami con tale ambiente. Tra i nomi proposti si ricordano, per esempio, Francesco Zucchi (Marini 1984, cit.; Salerno 1984, pp. 52-54), fratello del più noto Jacopo, e Prospero Orsi detto Prosperino delle Grottesche (Strinati 2001, p. 16; Spezzaferro 2002, pp. 31-32; Whitfield 2007, p. 11; Schifferer 2009, p. 175; Gregori 2009, p. 168).
Alberto Cottino, intervenendo più volte sulla questione nell’arco di oltre trent’anni, e dimostrando inizialmente delle notevoli aperture verso la tesi zeriana, in tempi più recenti ha espresso alcuni dubbi legati soprattutto alla successione cronologica delle opere del gruppo Hartford (Cottino 1989, pp. 655-662; 1995, pp. 59-65; 2002, pp. 136-137; 2003, pp. 140-141; 2011, pp. 25-33). Parallelamente anche Mina Gregori, dopo la precoce attribuzione a Crescenzi negli anni Settanta (Gregori 1973, cit.), si è espressa nuovamente nel 1985 (pp. 206-208) a favore di un’esecuzione non collegiale delle tele Borghese e, più di recente (2009, cit.) ha considerato il nome di Prospero Orsi come possibile Maestro di Hartford.
La studiosa Vittoria Markova (2000, pp. 52-55), secondo un punto di vista inconsueto, propone di svincolare i dipinti Borghese dalle altre opere del gruppo Hartford, ritenendoli di diversa mano (anonima) rispetto a queste ultime, mentre Kristina Herrmann Fiore (2000, pp. 63-64), nella sua disamina dell’inventario del sequestro D’Arpino, esclude la possibilità che dietro le due opere possa celarsi la mano di Caravaggio, ipotesi che Anna Ottani Cavina ritiene invece ancora convincente e che ripropone nel 2009, in occasione della mostra bolognese Federico Zeri. Dietro l’immagine (Ottani Cavina 2009, pp. 84-86, n. XV.a).
Il Vaso di fiori, frutta e ortaggi permane dunque nell’orbita del misterioso Maestro di Hartford, il quale a sua volta rimane legato a doppio filo al contesto della bottega del Cavalier D’Arpino, sia egli identificabile con un artista attivo nella medesima bottega o semplicemente conoscitore dall’esterno di quanto vi accadeva.
Riguardo alla datazione del quadro, nonché del suo pendant, l’appartenenza alla collezione di dipinti sequestrati al Cavalier d’Arpino individua nel 1607 il sicuro termine ante quem per la sua esecuzione.
Davide Dotti (2016, pp. 226-228, nn. 11-12), nel ribadire la qualità dei due dipinti e la loro collocazione tra i primi esempi di capolavori della natura morta italiana, rileva la propensione dell’autore per una dettagliata indagine naturalistica degli elementi che compongono la scena, che mantiene un certo gusto classificatorio. Secondo lo studioso, l’artista utilizza la luce in senso strutturale, come elemento di definizione plastica e spaziale degli oggetti, aspetto per cui lo definisce uno dei massimi interpreti del linguaggio caravaggesco nell’ambito della natura morta. Il taglio diagonale, ben visibile sulla parete di fondo del dipinto Vaso di fiori, frutta e ortaggi, suggerisce una stretta vicinanza alle ricerche del Merisi, elemento già colto da Alberto Cottino (1995, p. 118, n. 18) e, ancor prima, da John Spike (cit.).
Di diverso avviso, come già accennato, è Herrmann Fiore (cit.) per la quale il legame del dipinto con le prime opere di Caravaggio, seppur evidente, è ancora tutto da definire e l’elemento della luce nella natura morta del Maestro di Hartford non arriverebbe a toccare quella particolare adesione agli oggetti che è visibile, per esempio, nel Giovane con canestra di frutta del Merisi, risultando di tutt’altro impatto rispetto a quest’ultimo. Il quadro Borghese costituirebbe quindi proprio un esempio di quella maniera, ancorché virtuosa, che Caravaggio intese superare.
Lo stesso Dotti (2016, pp. 129 sgg.) tenta inoltre di ricostruire la sequenza cronologica dei dipinti ricondotti al Maestro di Hartford sulla base dell’evoluzione stilistica in essi riscontrabile, collocando le due tele Borghese in un periodo di poco antecedente alla natura morta del Museo di Hartford, considerato il più alto esempio dell’attività dell’artista e databile agli anni 1606-1607.
Il dipinto in esame presenta una varietà di frutta e verdura di diverse stagioni poste su differenti piani di profondità. Gli elementi preponderanti a livello compositivo sono il cesto di frutta sull’estrema destra e il vaso di ceramica pieno di fiori nella parte sinistra. Il dipinto non è privo di elementi allegorici, come quello della lucertola e del ramarro, animali a sangue freddo riconosciuti come positivi e in grado di riportare sulla strada della virtù l’uomo colpito dal vizio e dalla cattiva morale.
Pier Ludovico Puddu