Il dipinto, variamente attribuito dalla critica a Joachim Patinir e al Pozzoserrato, è da ricondurre all'attività di un artista anonimo, attivo ad Anversa nella seconda metà del Cinquecento e sensibile alle novità introdotte da questi maestri nella pittura di paesaggio. L'opera, attestata in collezione Borghese a partire dal 1693, rappresenta un paesaggio notturno, caratterizzato da alcuni scogli attraversati alla base da una apertura. Tutt'intorno mare e cielo si sciolgono nello stesso colore, bagnati dal chiarore di una luce lunare.
Salvator Rosa (cm 89,6 x 36,8 x 4,5)
Roma, collezione Borghese, 1693 (Inventario 1693, Stanza XI, nn. 7-8); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 27. Acquisto dello Stato, 1902.
La provenienza di questo dipinto è tuttora sconosciuta. L'opera infatti è documentata in collezione Borghese solo a partire dal 1693, elencata nel relativo inventario con il numero '59' tuttora visibile nell'angolo in basso a destra. Attribuita inizialmente a Herri met de Bles detto il Civetta (Inv. 1693), la tavola viene rubricata nell'inventario fedecommissario come opera di Paul Bril, attribuzione ripetuta da Giovanni Piancastelli (1891) ma rifiutata da Adolfo Venturi (1893). Questi, seguito da Roberto Longhi (1928), accosta il dipinto a Joachim Patinier, maestro fiammingo specializzato nella produzione di paesaggi e vedute fantastiche.
Tenendo conto di alcuni particolari, come le montagne forate, nel 1959 Paola della Pergola (Ead. 1959), assegna l'opera al fiammingo Lodewijck Toeput, pittore nativo di Anversa, giunto a Venezia nel 1582 e attestato a Firenze, Roma e Treviso, dove morì nei primi anni del Seicento. Tale parere, accettato da Kristina Herrmann Fiore (2006), è stato messo in dubbio da Isabella Rossi (2012). Secondo lo studioso, infatti, sebbene alcuni particolari, come la conformazione delle rocce e gli scogli traforati alla base, rimandino alla produzione del pittore fiammingo, gli stessi sono comuni a più pittori, trattandosi di vocaboli alquanto abusati in un ambiente artistico compatto come quello di Anversa.
Antonio Iommelli