La Vocazione di San Pietro, dipinta su pietra paesina, è attestata in collezione Borghese almeno a partire dal 1693, anno in cui è inventariata sotto il nome di Antonio Tempesta. L’attribuzione all’artista toscano viene mantenuta in tutti gli inventari successivi ed è generalmente condivisa dalla critica. Verosimilmente ideata in pendant con il Passaggio del Mar Rosso dello stesso autore (inv. 501), l’opera è databile tra il secondo e il terzo decennio del Seicento.
Salvator Rosa (cm 23 x 40 x 4)
Collezione Borghese, citato in Inventario, 1693, Stanza XI, n. 29; Inventario, 1790, Stanza X, n. 5; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 36, n. 25. Acquisto dello Stato, 1902.
Il dipinto, realizzato su pietra paesina, rappresenta il momento in cui Gesù, sulla destra della scena, chiama all’apostolato Simone, detto Pietro. Il santo si trova su una barca insieme ad altri pescatori, intenti a issare una rete carica di pesci. Sulla sinistra, su un’altra imbarcazione sono raffigurati tre personaggi, uno dei quali sta salendo a bordo mentre gli altri due scaricano delle merci. Si tratta di Zebedeo e dei due figli, Giacomo e Giovanni. Sul fondo in lontananza altre due barche veleggiano verso il largo, rendendo percepibile la linea dell’orizzonte. L’episodio riprende con esattezza il racconto biblico della chiamata di San Pietro, in particolare rifacendosi alla testimonianza degli evangelisti Marco e Matteo.
La provenienza del dipinto e la sua data di ingresso nella collezione Borghese non sono note; la prima menzione si trova nell’inventario del 1693, dove l’opera è correttamente attribuita ad Antonio Tempesta: “un quadruccio bisologno alto un palmo incirca in pietra, la Navicella si S. Pietro con un’altra barca con N.ro Sig.re alla Riva n. 228 seg.to dietro del Tempesta, cornice negra d’ebano”. L’attribuzione al Tempesta viene mantenuta in tutti gli inventari successivi, fino a quello fidecommissario del 1833, e tale riferimento è generalmente condiviso dalla critica, che propende per una datazione al secondo decennio del Seicento.
Recentemente Johanna Beate Lohff ha messo in dubbio la paternità del dipinto, ritenendo che la composizione e la resa delle imbarcazioni siano lontane dai modi dell’artista fiorentino, suggerendo piuttosto un’affinità con le marine dei pittori fiamminghi attivi a Roma tra Cinque e Seicento, in particolare Paul Bril o Jan Brueghel il Vecchio, ma anche con quelle di Filippo Napoletano, alla cui mano o ristretta cerchia andrebbe ricondotta l’opera (Lohff 2015, p. 199, n. 5.3; Lohff 2018, p. 195). È tuttavia necessario notare che, come precisato da Emanuela Settimi (2022, p. 229) in occasione della mostra in cui il dipinto è attualmente esposto, esso appare ideato in pendant con il Passaggio del Mar Rosso (Galleria Borghese, inv 501), con il quale condivide diversi aspetti tecnici, iconografici ed esecutivi: i due quadri non solo risultano di dimensioni quasi sovrapponibili e utilizzano lo stesso supporto, due lastre dalle venature talmente simili che forse sono state estratte dallo stesso blocco di pietra paesina, ma sono entrambi inventariati nel 1693 con il numero 228 e il nome del Tempesta, a testimonianza del fatto che erano considerati una coppia sin da allora. Inoltre, gli stessi concetti espressi dal Passaggio del Mar Rosso e dalla Vocazione di San Pietro, episodi tratti rispettivamente dall’Antico e dal Nuovo Testamento, sono accomunati dal tema della salvazione: da un lato Mosè che, guidato da Dio, libera il popolo ebraico soggiogato dagli egiziani conducendolo verso la salvezza, dall’altro San Pietro è chiamato da Gesù a compiere la sua missione salvifica di “pescatore di uomini”. Nei due dipinti vengono anche adottate soluzioni compositive analoghe e complementari: le scene sono inquadrate da quinte di roccia nel Passaggio e di vegetazione nella Vocazione e le stesse figure di Mosè e Cristo, proiettate in primo piano da una linea di terreno molto bassa, sono posizionate specularmente, l’una a sinistra l’altra a destra. In entrambi i casi le venature a onda del supporto vengono sfruttate magistralmente per evocare il mare, e si ravvisano pennellate fluide e una delicata materia pittorica, facendo ritenere le due opere di un unico autore. Tali elementi consentono di riproporre il nome di Antonio Tempesta, che verosimilmente dipinse questi quadretti in un momento avanzato della sua carriera, quindi tra il secondo e il terzo decennio del Seicento.
Pier Ludovico Puddu