Il piedistallo, insieme con il suo compagno (inv. CXa), è documentato nelle collezioni Borghese a partire dal 1650. Furono plausibilmente eseguiti in epoca moderna da uno scultore forse di ambito romano. Su ciascuna delle tre facce, nella parte centrale del fusto, sono scolpiti a rilievo amorini alati desinenti in foglie d’acanto con diversi attributi: il primo reca un grappolo d’uva e il pedo pastorizio, il secondo sorregge un cesto colmo di frutti e una piccola corona conviviale, mentre il terzo si cinge il capo con un nastro. Dal loro ingresso nelle collezioni della villa hanno più volte cambiato la loro veste: inizialmente fecero da supporto per i Camilli oggi al Louvre; poi, trasferiti nell’odierna “sala di Apollo e Dafne”, diventarono i basamenti per il Fanciullo con due anatre (inv. CX) e per la Giovinetta con fanciullo e cane (inv. LVII). Entro il 1828 quest’ultima fu poi sostituita dal gruppo Fanciullo con anatra (Arpocrate) (inv. CVI) ed entrambi i piedistalli hanno mantenuto invariata la loro funzione fino ad ora.
Collezione Borghese, citati per la prima volta da Manilli (1650, p. 83) al piano terra della villa, nella “Stanza del Moro” (odierna sala VII); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C, p. 47, nn. 88, 89. Acquisto dello Stato, 1902.
Il piedistallo (inv. CVIa) fa parte di una coppia (con l’inv. CXa). I due piedistalli triangolari presentano la medesima tipologia decorativa e poggiano su due plinti di foggia antica, percorsi su tutti i lati da un fregio continuo a rilievo di foglie e girali d’acanto. Su questi si innestano gli alti zoccoli curvilinei delle basi, culminanti agli spigoli con protomi di sfingi alate da cui si dipanano dei sottili viticci recanti rosette, con al centro dei calici di foglie d’acanto da cui si ergono palmette. Su ciascuna delle tre facce del piedistallo, nella parte centrale del fusto, sono scolpiti a rilievo amorini alati desinenti in foglie d’acanto con diversi attributi: il primo reca un grappolo d’uva e il pedo pastorizio, il secondo sorregge un cesto colmo di frutti e una piccola corona conviviale, mentre il terzo si cinge il capo con un nastro. Un fregio a palmette e fiori di loto con teste d’ariete aggettanti agli angoli chiude superiormente i due piedistalli. Tra i due piedistalli, quasi del tutto simili, si riscontrano solo alcune piccole varianti determinate dai maggiori restauri subiti da uno di essi (inv. CXa).
Manilli (1650), Montelatici (1700) e ancora l’inventario del 1725 li descrivevano poggianti su tre balaustri di metallo, che dovettero essere rimossi prima del 1796 poiché non sono più menzionati nel volume di Lamberti e Visconti sulle sculture della villa pubblicato quell’anno. I due eruditi ipotizzavano potessero appartenere al nucleo di sei candelabri di età adrianea rinvenuto verosimilmente a fine Quattrocento nei pressi del mausoleo di Santa Costanza, successivamente divisi tra quest’ultimo e la vicina chiesa di Sant’Agnese e infine trasferiti a fine Settecento in Vaticano. Attualmente quattro di questi sono conservati nella galleria dei Candelabri dei Musei Vaticani, mentre un quinto venne riportato nella chiesa di Sant’Agnese dopo il restauro. Il sesto si ritiene perduto (Ronchetti 93, p. 208).
Registrati come opere moderne nella Nomenclatura della statuaria antica del 1828 (Moreno 1975-1976, p. 46), anche Nibby dopo averli ritenuti antichi (1832) dovette ricredersi (ed. 1841). Calza 1957 avanzò l’ipotesi che solo uno dei due (inv. CVIa) fosse antico, forse individuabile in quel nucleo rinvenuto vicino Santa Costanza; l’altro piedistallo (inv. CXa) fu invece stimato come opera dello scultore romano Lorenzo Cardelli eseguito quale pendant del primo (proposta accolta anche da Cain 1985). Solo Eleonora Ronchetti (1993) ha saputo escludere che uno dei due potesse appartenere a quel gruppo di candelabri antichi, riportando all’attenzione Fioravante Martinelli che nel 1653 li menzionava tutti e sei nella chiesa di Sant’Agnese, mentre la precedente testimonianza di Manilli (1650) documentava già entrambi i piedistalli della collezione Borghese all’interno della villa. Dunque la studiosa suggeriva di datarli entrambi alla prima metà del Seicento, considerato che non risultano nel dettagliato Inventario delle statue antiche, colonne, tavole, pietre e marmi di proprietà della famiglia fatto stilare nel 1610 da papa Paolo V.
Dal 1650 i piedistalli sono descritti al piano terra della villa, nella “Stanza del Moro” (odierna sala VII) quando fungevano da supporto ai Camilli oggi al Louvre (DAGER, inv. MR 119, MR 120), allora esposti sulla parete tra le finestre affacciate verso il giardino segreto di tramontana. Lì rimasero sicuramente fino al 1765 per poi essere trasferiti nella “sala del Bernini” (odierna sala III), dove si trovano tuttora. Qui furono descritti da Lamberti e Visconti nel 1796 come basi di due vasi a foggia di cantaro di Massimiliano Laboureur e Lorenzo Cardelli; almeno dal 1818 furono le basi della Giovinetta con fanciullo e cane (inv. LVII) e del Fanciullo con due anatre (inv. CX), posti lungo la parete a sinistra entrando dalla sala II (Nibby 1832). Nella stessa stanza, entro il 1828 il piedistallo che sosteneva la Mora divenne il supporto del gruppo Fanciullo con anatra (Arpocrate) (inv. CVI) mentre l’altro rimase invariato e tale scelta museografica si è mantenuta fino a ora.