Il bozzetto dell’Annunciazione entra a far parte della raccolta Borghese nel 1915 ed è ricondotto alla mano di Corrado Giaquinto dall’allora direttore della Galleria Giulio Cantalamessa. Nonostante le numerose ipotesi avanzate dalla critica, sono ancora diversi gli scenari aperti sull’individuazione del dipinto finale collegato a questo bozzetto, forse identificabile con una perduta pala d’altare. Parallelamente anche la cronologia dell’opera rimane incerta, oscillando in un ampio arco temporale corrispondente agli ultimi quindici anni di vita del pittore.
Il bozzetto a olio rappresentante l’Annunciazione, acquistato dallo Stato nel 1915, è confluito nella Galleria Borghese come opera di Corrado Giaquinto ed è così attribuito in un contributo dell’allora direttore Giulio Cantalamessa pubblicato nello stesso anno (1915, p. 345).
Successivamente, Roberto Longhi (1928, p. 226) riconduce l’opera a un anonimo pittore napoletano affine al Porretta d’Arpino e a Giacinto Diano (o Diana), quest’ultimo ritenuto convincente da Paola Della Pergola (1955, p. 88, n. 157), la quale cataloga il dipinto sotto tale nome. Tre anni dopo, Mario D’Orsi (1958, p. 122) restituisce definitivamente l’Annunciazione a Giaquinto, collocandola nel periodo spagnolo del pittore, tra il 1753 e il 1762.
La piccola tela dalla forma centinata rappresenta la Vergine con le braccia aperte mentre rivolge il suo sguardo all’Arcangelo Gabriele, raffigurato nella parte opposta della composizione sospeso tra le nuvole. In alto, al centro, compare la colomba simbolo dello Spirito Santo, da cui si irradiano fasci di luce, circondata da una schiera di piccoli angioletti. L’ambientazione presenta elementi della quotidianità, arredi e oggetti di uso comune, mentre lo sfondo è chiuso da un ampio tendaggio verde. La resa cromatica è attentamente studiata, come dimostra la ripresa dello stesso rosa dell’abito della Vergine nella fascia stretta alla vita di Gabriele e nel panno dell’angioletto seduto sulle nuvole in alto a destra della composizione, quasi a voler creare un collegamento simbolico tra il piano terreno e quello divino.
Nel corso degli anni, la critica ha tentato più volte di individuare il dipinto finale collegato a questo bozzetto, senza tuttavia arrivare a delle conclusioni certe.
Ève Nyerges (1979, p. 208) lo collega all’Angelo annunciante del Musée de Beaux-Arts di Budapest, ritenuto parte di un’Annunciazione perduta eseguita dall’artista per la chiesa di San Luigi di Palazzo a Napoli, oggi non più esistente. Liliana Barroero (1986, p. 96) lo considera invece una prima idea per la pala d’altare di stesso soggetto nella chiesa dell’Annunciata a Todi, databile al 1750 circa, con cui il bozzetto Borghese è in stretto rapporto. Un’ulteriore ipotesi si lega all’esistenza di una copia dell’opera, di pressoché identiche dimensioni, conservata in collezione privata a New Haven (USA), che è stata messa in relazione ad un progetto schizzato da Luigi Vanvitelli (Caserta, Palazzo Reale) per l’altare della chiesa dei Padri della Missione a Napoli, in cui è forse riconoscibile la stessa composizione (Nolta 1987, p. 327). Poco prima della sua morte nel 1766, Giaquinto collaborò con Vanvitelli nell’ambito dei lavori della chiesa napoletana e potrebbe aver concepito l’opera in questa occasione. Se il bozzetto romano fosse realmente collegato a tale impresa, esso rappresenterebbe, insieme a quello americano, l’unica testimonianza rimasta di un dipinto di cui al momento non rimane traccia, e di cui non è nota l’effettiva realizzazione. Infine, Kristina Herrmann Fiore (1993) propone di identificare il quadro Borghese con il bozzetto per la perduta pala d’altare della chiesa dell’Ospedale dei Fratelli Misericordiosi a Graz (1753).
Le diverse proposte avanzate dalla critica fino a questo momento aprono altrettanti scenari differenti riguardo alla cronologia dell’opera, oscillante in un arco temporale piuttosto ampio che va dai primi anni Cinquanta del Seicento, in prossimità della partenza per Madrid dove Giaquinto lavorò come pittore di corte, e la tarda attività dell’artista nell’ultima parte della sua vita, trascorsa a Napoli.
Pier Ludovico Puddu