L’opera è copia del celebre autoritratto giovanile di Raffaello, riferibile al 1506-08 e conservato nelle Gallerie degli Uffizi a Firenze. Il dipinto è stato rubato l’11 novembre 1978.
Collezione Borghese, citata nell’Inventario 1693, Stanza IV, n. 62;, Inventario 1700, Stanza IV, n. 38; Inventario 1790, Stanza IV, n. 23; Inventario Fidecommissario Borghese 1833. Acquisto dello Stato 1902. Il dipinto è stato rubato l’11 novembre 1978.
La tavola, entrata in collezione in data imprecisata, risulta presente a partire dall’inventario del 1693 dove viene indicata come di Raffaello. Nel 1700 è poi segnalata come opera di Giulio Romano, mentre a partire dal 1790, e successivamente nel 1833 e nel 1891, è considerata di Timoteo Viti, forse però confusa, come notava anche la Della Pergola (1959), con l’attribuzione del Ritratto d’uomo sempre di Raffaello (inv. 397). Si tratta di una delle tante repliche dell’Autoritratto giovanile di Raffaello conservato a Firenze nelle Gallerie degli Uffizi (1506-08). Secondo il catalogo di Paola Della Pergola si trattava di una copia mediocre e in conservazione scadente, date le fenditure del supporto e le abrasioni della pellicola pittorica, soprattutto nella zona scura della veste.
L’Autoritratto di Raffaello, “icona di raffinatezza e specchio della dimensione spirituale” dell’artista, venne probabilmente eseguita per un Montefeltro come ringraziamento per l’intercessione nella commissione del cantiere papale delle Stanze in Vaticano (cfr M. Braghin, in Raffaello 1520/1483, cat. della mostra a cura di M. Faietti e M. Lafranconi con F.P. Di Teodoro e V. Farinella, Milano 2020, cat. X.18, p.461). Realizzata a Firenze su una tavola di pioppo, l’opera arrivò a Urbino per rientrare definitivamente nella città granducale nel 1631, grazie a Vittoria della Rovere, moglie di Ferdinando II de’ Medici.
Nell’Autoritratto, vicino a quello della Scuola d’Atene nella stanza della Segnatura, Raffaello si mostra con taglio e pettinatura tipici della moda di quel periodo, con un copricapo, dalla foggia poi detta “raffaella”, dello stesso colore scuro della veste, da cui spunta appena il collo della camicia bianca.
L’opera fiorentina risulta da subito una delle più copiate dell’urbinate, di cui rimangono, tra l’altro, anche molte traduzioni in stampa. Nulla sappiamo circa la datazione e l’autore della copia Borghese, ritenuta in ogni caso di qualità modesta; il furto del novembre del 1978 ne ha naturalmente impedito lo studio approfondito.
Sofia Barchiesi