Il dipinto è documentato nell'inventario Borghese del 1693 come opera del Garofalo. L'opera è concordemente attribuita a un seguace del pittore. Considerevole il numero di opere del Garofalo - autografe o attribuite a seguaci - appartenente alla collezione Borghese.
Collezione Borghese, Inv. 1693, Stanza IX, n. 487; Inventario 1790, Stanza dell’Ermafrodito, n. 48; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 22, n. 34. Acquisto dello Stato, 1902.
L’episodio raffigurato, tratto dal capitolo 9 degli Atti degli Apostoli, mette in scena lo stupore e lo spavento della Conversione del soldato Saulo, futuro apostolo delle genti Paolo. Gesù, accompagnato da un angelo, apre le nubi e rivolge la sua luce e la sua forza verso il militare in armatura e veste blu ormai disarcionato, mentre i suoi compagni attorno a lui, abbagliati da ciò che sta accadendo, fuggono sui loro cavalli imbizzarriti. «Saulo, Saulo perché mi perseguiti?» sono le parole che Cristo indirizza a Paolo, il quale, coprendo gli occhi accecati da quel bagliore con la mano, reclina la testa rendendo instabile l’elmo piumato e mosso da un forte vento che scompiglia anche i panneggi in cui è avvolto e i mantelli dei suoi commilitoni.
La serenità e la compostezza paesaggio tipico della ferrarese vengono rotte dalla concitazione della scena sacra in primo piano, movimentata da una gestualità e un’espressività fortemente drammatica e teatrale.
Gli antichi inventari della collezione Borghese, in cui il dipinto compare a partire dal 1693, concordano nell’attribuire la piccola tavola al Tisi, con l’eccezione del documento del 1790, in cui viene accostata al nome di Bellini. La paternità all’artista ferrarese, sebbene messa in dubbio dalla debole resa stilistica che la renderebbe più avvicinabile ad un seguace (Della Pergola 1955), viene accolta da tutta la critica (Platner 1842; Venturi 1893; Longhi 1928). In merito alla datazione, già Venturi avvicina quest’opera all’assimilazione da parte del Garofalo delle “aberrazioni” della Maniera di Giulio Romano a Mantova, e proprio per questo motivo il dipinto sarebbe riconducibile entro il quinto decennio del XVI secolo. Nel catalogo dei dipinti della Galleria Borghese redatto da Paola Della Pergola (1955), la studiosa aveva avanzato l’ipotesi che si tratti dell’opera dello stesso soggetto presente nell’inventario di Lucrezia d’Este attribuito a Ludovico Mazzolino, citazione in realtà riferibile all’opera oggi attribuita a Giacomo Panizzati (attivo dal 1524 circa –1540) della National Gallery di Londra (inv. NG73; Tarissi de Jacobis 2002).
Lara Scanu