Il quadro è documentato nel 1622 presso la collezione del cardinale Scipione Borghese. La struttura compositiva dell'opera presenta tre zone nettamente suddivise; le figure affastellate sembrano precipitare verso il primo piano dove si trova Saulo, isolato sul proprio cavallo. La tipologia e gli atteggiamenti delle figure appaiono largamente ripresi dal repertorio del manierismo romano e in particolare dal linguaggio grandioso elaborato da Giulio Romano.
Collezione Borghese: 1622, testimonianza intervento di restauro in cui il dipinto viene “acomodato” per 6 scudi (Tarissi de Jacobis 2002); Manilli 1650, p. 82; Inventario 1693, Stanza II, n. 34; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 15, n. 6. Acquisto dello Stato, 1902.
Questa Conversione di san Paolo ha una incontrovertibile datazione, vista la presenza su di un sasso in basso a sinistra dell’iscrizione MDXXXXV, così come una testimonianza di antico restauro, per la cifra di 6 scudi, del 1622 (Tarissi de Jacobis 2002), che ne determina la presenza all’interno della collezione Borghese a partire dagli anni Venti del XVII secolo.
Le monumentali dimensioni suggeriscono una provenienza chiesastica, sebbene finora i documenti e le fonti non hanno consentito né l’individuazione del contesto di provenienza né del committente.
Come rilevato da Alessandra Pattanaro (1995), stupisce come l’opera non sia stata considerata fondamentale nella ricostruzione del catalogo garofalesco, anche e soprattutto per i suoi forti riferimenti michelangioleschi, vista nella composizione di questa tela la forte eco della recente realizzazione da parte del Buonarroti dell’affresco di medesimo soggetto nella Cappella Paolina e, nel trattamento delle muscolature, dei nudi del Giudizio Universale. Il drammatico groviglio di corpi derivanti dagli affreschi della Sistina si intreccia con un’altra fondamentale componente dello stile del Tisi, quella derivante dall’osservazione di Giulio Romano, in questo caso rappresentata dalla monumentalità tragica delle figure scultoree poste in modo illusionistico lungo delle diagonali, che ricordano le soluzioni adottate dall’allievo di Raffaello negli affreschi della Sala dei Giganti di Palazzo Te a Mantova.
La composizione nel suo complesso è sviluppata su due piani, così come canonizzato proprio dal Sanzio: nella parte alta, la sfera divina, rappresentata dal Cristo tra le nubi accompagnato da un angelo, sotto al quale, nel drammatico subbuglio di soldati e cavalli, campeggia il monumentale corpo di Saulo che sta per cadere, accecato, dal suo destriero bianco, già parzialmente atterrato dalla forza divina.
L’opera fu oggetto di alcune sperimentazioni da parte dei restauratori, che la utilizzarono per provare il trasporto da tavola a tela che poi si sarebbe voluto applicare alla Deposizione di Raffaello (inv. 369). Dati gli scarsi risultati ottenuti, l’opera del Sanzio venne risparmiata, mentre la pala del Garofalo ne è rimasta a tangibile testimonianza.
Lara Scanu