Il dipinto, già ritenuto di Tiziano, è stato attribuito dalla critica - seppur con molte riserve - al pittore friulano Giovanni Antonio de' Sacchis detto il Pordenone. Raffigura la vedova Giuditta che dopo aver mozzato la testa al generale Oloferne la depone nel sacco sorretto dalla serva. Secondo la tradizione, infatti, dopo averlo sedotto la donna penetrò nel buio della sua tenda decapitandolo con una scimitarra.
La giovane, qui elegantemente abbigliata, è ritratta mentre guarda l’osservatore, fiera dell’atto appena commesso eseguito per salvare il suo popolo dall’esercito nemico.
Cornice seicentesca decorata con foglie d’acanto e pomi (cm 114 x 106 x 6,5)
Roma, collezione Olimpia Aldobrandini (Inventario Olimpia Aldobrandini 1682; Della Pergola 1955); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 38. Acquisto dello Stato, 1902.
Il dipinto proviene dall'eredità di Olimpia Aldobrandini, elencato nel 1682 nell'inventario dei beni della ricca nobildonna come "Il Ritratto della Donna de sud[dett]o [Tiziano]", descrizione successivamente ripresa nell'elenco fidecommissario ottocentesco ("La Giuditta rappresentante la Moglie di Tiziano, del Tiziano" (Inv. Fid. 1833).
Se la provenienza dell'opera da casa Aldobrandini ha finora messo d'accordo tutta la critica, lo stesso non si può dire sulla sua paternità. Avvicinato, infatti, da Bernard Berenson (1894) a Polidoro Lanzani, tale nome fu scartato sia dal Bernardini (1910) in favore del Savoldo, sia da Adolfo Venturi che, dopo aver pensato ad un artista legato alla scuola di Giorgione (Venturi 1893), nel 1928 (A. Venturi, in Storia) parlò del Pordenone, pubblicando contemporaneamente (in L'Arte 1928) una Giuditta di collezione privata francese, molto simile alla tela Borghese ad eccezione della figura dell'ancella.
Tuttavia, la strada tracciata da Venturi fu scartata qualche anno dopo da Giuseppe Fiocco (1939; Id. 1969) che, muovendo da alcune ingenuità pittoriche, tolse l'opera dal catalogo del friulano avvicinandola a un poco noto Sebastiano Florigerio. Dal canto suo, invece, Roberto Longhi, ripercorrendo la pista frequentata dal Venturi, nel 1928 confermò la paternità al De' Sacchis, datando la tela intorno al 1516, ossia poco dopo l'esecuzione della nota pala del Duomo di Pordenone (Madonna della Misericordia, 1515-16). Tale giudizio, ripreso da Paola della Pergola (1955), è stato in seguito accettato da tutta la critica (Lucco 1975; Furlan 1988; C. Stefani in Galleria Borghese 2000) e di recente confermato da Kristina Herrmann Fiore (2006).
Un disegno di ubicazione ignota, reso noto nel 1974 da Mauro Lucco, sembra essere una prima idea della nostra Giuditta.
Antonio Iommelli