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La capra Amaltea con Giove bambino e un faunetto

Attribuito a Bernini Gian Lorenzo

(Napoli 1598 - Roma 1680)

Il gruppo scultoreo raffigura la capra Amaltea, sdraiata a terra con la testa rivolta verso il piccolo Giove, coronato da un tralcio di vite, che la sta mungendo. Lo sguardo dell’animale indirizza l’attenzione dello spettatore verso Giove, individuandolo come protagonista dell’opera, ed egli, a sua volta, rivolge lo sguardo verso l’animale. Alle spalle della capra, un faunetto – identificato con Pan – beve il latte da una ciotola.
La Capra Amaltea si trova nella Villa Pinciana sicuramente dal 1615, quando Giovanni Battista Soria venne pagato per il basamento su cui era esposta. Fu citata senza indicazione dell'autore da Manilli nel 1650 e dalla critica successiva fino al 1926, quando Longhi recuperò l'attribuzione a Gian Lorenzo Bernini di Joachim von Sandrart (1675). L'opera è stata interpretata come un esempio precoce delle doti straordinarie dell'artista, anche se parte della critica non è concorde sulla sua autografia. Il soggetto cela un significato allegorico connesso alla cornucopia, derivata dalla capra Amaltea, che doveva suggerire il ritorno dell'Età dell'oro grazie al pontificato di Paolo V Borghese.

Scheda tecnica

Inventario
CXVIII
Posizione
Datazione
ante 1615
Tipologia
Periodo
Materia / Tecnica
marmo
Misure
altezza 45
Provenienza
Cardinale Scipione Borghese, documentata nel 1615 (Faldi 1954, p. 25, n. 30); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C, p.48. Acquisto dello Stato, 1902.
Mostre
  • 1998 Roma, Galleria Borghese
  • 1999 Roma, Palazzo Venezia
  • 2017-2018 Roma, Galleria Borghese
Conservazione e Diagnostica
  • 1997 C.B.C. Coop. a.r.l.

Scheda

Il gruppo raffigurante la capra Amaltea, la cui datazione e la cui autografia sono state al centro di una lunga querelle tra gli studiosi, non del tutto risolta, è presente nella raccolta di Scipione Borghese sicuramente dal 1615, anno in cui Giovanni Battista Soria fu pagato per il basamento in legno che lo sosteneva (Faldi 1954, p.25).Il riferimento a Gian Lorenzo Bernini è indicato per la prima volta da Joachim von Sandrart nel 1675 (ed. 1925, p. 188), ma soltanto nel 1926 Roberto Longhi lo ha collegato chiaramente alla Capra Amaltea (1926, p. 65). La mancanza, fra i documenti di casa Borghese, di un pagamento per il gruppo ha fatto pensare che esso potesse essere stato donato a Scipione come saggio delle prodigiose capacità tecniche del giovanissimo Bernini e che quindi non fosse frutto di una committenza diretta del cardinale (Pierguidi, in Bernini e gli allievi, 2008, p. 123, cat. 2). Permangono tuttavia, da parte della critica, forti dubbi sull'autografia del pezzo (Bacchi 2017, p. 26, n. 26).

La vicenda raffigurata è molto nota nella mitologia antica: Giove neonato, su cui incombe la minaccia dell’uccisione da parte del padre Crono – al quale era stato profetizzato che uno dei figli l’avrebbe detronizzato –, viene salvato dalla madre Rea, che lo porta a Creta. Qui viene cresciuto da Amaltea, inizialmente una ninfa o la figlia del re Melisseo, in seguito identificata con la capra col cui latte Giove è nutrito. Ovidio unisce al mito originario quello del corno della capra, la cornucopia, dotato di poteri miracolosi, donato da Giove alle sue nutrici, le ninfe Adrastea e Ida.Dal 1624, con la realizzazione nella volta della loggia dell’affresco raffigurante il Consiglio degli Dei ad opera di Giovanni Lanfranco, la Capra Amaltea viene a trovarsi compresa in un più generale programma celebrativo della nuova Età dell’Oro, cui la famiglia Borghese stava dando luogo (D'Onofrio 1967, pp. 218-225).

Del soggetto, piuttosto raro in scultura, l'autore fornisce una raffigurazione estrosa, ritraendo Giove che nutre se stesso e il fauno mungendo la capra. Egli applica qui la tecnica classica dell’invenzione, che consisteva nel presentare un tema noto offrendone un’interpretazione nuova e sorprendente (Preimesberger, in Bernini scultore, 1998, p. 47).

È qui già evidente l’abilità di Gian Lorenzo Bernini nel differenziare e caratterizzare mimeticamente le diverse superfici. Nel gruppo compare per la prima volta l’uso del “non finito” per le parti ritenute nascoste dalla corretta visuale dell’opera, tecnica che caratterizzerà tutta la produzione dello scultore. In corrispondenza delle parti emergenti o più sottili del modellato, come nelle corna e nella coda della capra e nell’orlo della tazza, emerge qualche incertezza giovanile, cui Bernini pose rimedio con alcuni inserti fissati con colofonia (Coliva 2002, p. 17).

La corona di pampini e la presenza di Pan, nutrito anche lui col latte di Amaltea, introducono la natura estremamente sensuale di Giove, arricchendo il soggetto di un inedito significato moraleggiante, secondo una pratica che sarà riproposta nell’Apollo e Dafne(Preimesberger1989, pp. 118 ss., 122 ss.). Nel gruppo si riconoscono anche riferimenti ai sensi: la vista è introdotta dal gioco di sguardi tra i personaggi, la bocca aperta e la campanella al collo della capra suggeriscono sensazioni di tipo uditivo, il gusto è espresso da Pan che sorbisce il latte; il tatto, infine, è implicato dall’azione della mungitura, oltre che dalla resa naturalistica del manto dell’animale (Preimesberger, in Bernini scultore, 1998, p. 45).

Pur raffigurando un soggetto piuttosto raro nell’arte antica, l’opera ne documenta comunque lo studio – sicuramente praticato da Gian Lorenzo nella bottega paterna –, come evidenzia il forte richiamo all’arte ellenistica nel gioco intimo e scherzoso dei due putti (Minozzi, in I Borghese, 2011, p. 390). Collocata inizialmente nella loggia di Lanfranco al primo piano, la scultura fu spostata, in occasione dei lavori di riallestimento della collezione guidati dall’architetto Antonio Asprucci alla fine del Settecento, nella sala III, dove erano state raccolte piccole sculture di soggetto bacchico. Nel XIX secolo, dopo la vendita dei marmi antichi a Napoleone, il gruppo fu riportato nel salone del Lanfranco, dove, dopo essere stato per alcuni anni nel salone d’ingresso, è tornato nel 1997.

Sonja Felici




Bibliografia
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