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La Zingara

Cordier Nicolas

(Saint-Mihiel, Meuse 1567 - Roma 1612)

La giovane Zingarella sorride mentre predice il futuro, leggendo le linee della mano con il dito teso in avanti. Il volto è incorniciato da riccioli, che fuoriescono da un elegante copricapo bordato d’oro elegato sotto il mento. Il braccio sinistro è completamente nascosto dal mantello, decorato nella parte superiore con i simboli borghesiani dell’aquila e del drago.

La scultura è stata eseguita a partire dal manto in marmo grigio antico, di provenienza archeologica, cui lo scultore Nicolas Cordier ha aggiunto la testa, la mano destra e i piedi in bronzo e una veste in marmo bianco. L’artista francese era particolarmente abile nella rilavorazione di marmi antichi, che integrava con materiali diversi dando vita a raffinateopere polimateriche. Cordier ha applicato tale tecnica anche nella realizzazione di sculture di soggetto sacro, come la Sant'Agnese per l’omonima basilica romana, la cui somiglianza con la nostra statua è stata fondamentale per attribuirgli la Zingarella, per la quale in passato è stato proposto anche il nome del marchigiano Tiburzio Vergelli.

L’esecuzione della scultura è da collocarsi presumibilmente tra il 1607 e il 1612, periodo in cui lo scultore fu attivo per il cardinale Scipione Borghese.


Scheda tecnica

Inventario
CCLXIII
Posizione
Datazione
1607-1612
Tipologia
Periodo
Materia / Tecnica
marmo e bronzo
Misure
altezza cm. 140
Provenienza
Cardinale Scipione Borghese, 1612 ca.; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C, p. 52, n. 164. Acquisto dello Stato, 1902.
Mostre
  • 2011 Roma, Galleria Borghese
Conservazione e Diagnostica
  • 1996 P.T. Color S.r.l.

Scheda

La raffinata scultura ritrae una giovane donna, dall’espressione sorridente, con la capigliatura raccolta da un copricapo con bordi e nastri dorati, allacciato sotto il mento, dal quale fuoriescono riccioli che le incorniciano il volto e scendono sulle spalle. La fronte è attraversata da una fascia anch’essa dorata, arricchita da un prezioso castone. Il braccio sinistro della giovane, identificata come una zingarella, è completamente nascosto dal mantello, mentre il destro è sollevato e con l’indice teso, probabilmente impegnato a seguire le linee della mano per la predizione del futuro. Il manto, trattenuto sulla spalla da una borchia circolare dorata, riapplicata da Cosimo Fancelli nel 1668, è decorato nella parte superiore da un bordo con i simboli borghesiani dell’aquila e del drago, mentre in basso è bordato da una fascia a palmette e volute vegetali dalla quale scende una lunga frangia dorata. Sotto il mantello, la donna indossa una tunica bianca a pieghe sottili, arricciata al polso, e un paio di sandali.

La Zingarella è stata eseguita utilizzando un pezzo di provenienza archeologica, il manto in marmo grigio antico, riferibile a modelli ercolanesi (Pressouyre, 1984, pp. 415-417, cat. 22), cui sono state applicate testa, mano destra e piedi in bronzo ed è stata aggiunta la veste in marmo bianco. Con la stessa tecnica polimaterica era stata eseguita nel 1605 da Nicolas Cordier la statua di Sant'Agnese per la basilica di Sant'Agnese fuori le mura, la cui somiglianza con la presente scultura è stringente. Per tale motivo l’opera è stata ritenuta, a partire da De Rinaldis (L’ arte in Roma, 1948, pp. 79, 201), quasi concordemente opera dello scultore francese. Per essa è stato proposto in passato anche il nome del marchigiano Tiburzio Vergelli, sulla base del confronto con la Carità del fonte battesimale della basilica di Loreto (Venturi 1936, p. 746, n. 1).

Eseguita presumibilmentetra il 1607 e il 1612, periodo in cui lo scultore fu attivo per il cardinale Scipione Borghese, come attestato da alcuni documenti (Pressouyre, 1984, pp. 415-417, cat. 22), la scultura fu messa in relazione con altre ugualmente polimateriche (il Moro e la Zingara, sculture antiche integrate nel XVI secolo, oggi al Louvre) con cui fu inserita, in modo perfettamente organico, nella sala Egizia, nell’ambito della sistemazione tardo settecentesca della Villa a opera di Antonio Asprucci. La perfetta armonia delle parti dissimula egregiamente lo stacco tra il reperto antico e l’integrazione moderna, rendendo l’opera uno dei migliori esempi di restauro integrativo dell’epoca.

Apprezzata anche dal direttore dell’Accademia di Francia Pierre Adrien Pâris e da lui suggerita come possibile pendant per la Diana cacciatrice, la scultura non venne inserita tra le opere acquistate da Napoleone nel 1807 perché moderna (Arizzoli-Clementel 1978, p. 9, n. 38).

Documentata nella galleria al piano nobile del Palazzo Borghese in Borgo nel 1613 da una citazione del poeta Scipione Francucci, fu probabilmente trasferita nella villa Pinciana nel 1616, quando nella contabilità di casa Borghese è registrato un pagamento al falegname Antonio di Battisti per il basamento (Rossi 2011, p. 348). Nel 1650 era esposta dapprima in sala XI, sopra una perduta ara antica con festoni e teste d’ariete (Manilli, p. 100), poi documentata dal 1787 al 1841 in sala VII (Von Ramdohr, 1787, I, p. 325; Nibby, 1841, p. 923); dal 1893 risulta esposta in sala X (Venturi, p. 173).

Sonja Felici




Bibliografia