La Verità
(Napoli 1598 - Roma 1680)
La Verità fu realizzata da Gian Lorenzo Bernini per sé stesso in un periodo difficile della sua carriera, culminato con l’abbattimento di uno dei campanili da lui progettati per la Basilica di S. Pietro e con l’elezione al soglio pontificio nel 1644 di Innocenzo X Pamphilj, che gli preferì come architetto Francesco Borromini. Raffigurata come una fanciulla sorridente e nuda, la Verità è seduta su un masso roccioso, tiene nella mano destra il sole e poggia la gamba sinistra sul globo terrestre, secondo un’iconografia già canonizzata nella celebre Iconologia di Cesare Ripa (1600).
L’opera doveva far parte di un gruppo scultoreo rappresentante l’allegoria della Verità svelata dal Tempo, mai portato a termine. Alla morte dell’artista il grande blocco di marmo destinato alla realizzazione del Tempo in volo, rivelatore della Verità, fu venduto dagli eredi.
Del gruppo scultoreo sono noti numerosi disegni autografi; nella figura della Verità si possono riconoscere dei legami con l’incompiuta Allegoria della Virtù di Correggio (Antonio Allegri), conservata presso la Galleria Doria Pamphilj di Roma.
Scheda tecnica
Inventario
Posizione
Datazione
Tipologia
Periodo
Materia / Tecnica
Misure
Provenienza
Gian Lorenzo Bernini, 1646; poi Eredi Bernini; Deposito Galleria Borghese, 1924. Acquisto dello Stato italiano, 1958.
Mostre
- 1998 - Roma, Galleria Borghese
- 2008 - Roma, Galleria Borghese
- 2017-2018 - Roma, Galleria Borghese
Conservazione e Diagnostica
- 1997 ABACUS s.n.c. di Naldoni N. e Tautschnig G. (restauro completo)
- 1997 "Il Cenacolo" s.r.l. (indagini diagnostiche)
Scheda
Quando scolpì la Verità, tra il 1646 e il 1652, Gian Lorenzo Bernini stava attraversando un periodo difficile della sua carriera. Lo scultore era stato incaricato da Urbano VIII Barberini di affrontare un difficile problema tecnico e strutturale, portando a compimento le due torri campanarie ai lati della basilica di S. Pietro iniziate da Carlo Maderno. Il progetto di Bernini non andò a buon fine, tanto che il pontefice ordinò lo smantellamento del primo dei due campanili. In seguito, Innocenzo X Pamphilj, eletto al soglio pontificio nel 1644, non solo aveva definitivamente accantonato il progetto, ma gli aveva anche preferito come architetto Francesco Borromini.
Il gruppo scultoreo della Verità svelata dal Tempo doveva quindi significare il riscatto di Bernini di fronte all’ingiustizia subita e al crollo della sua reputazione. La seconda figura con cui l’artista intendeva completare il gruppo non venne mai scolpita. Dopo soli due anni, infatti, Bernini tornò nei favori della corte pontificia e, oberato dagli incarichi, non riuscì a completare l’opera. Alla sua morte, il grande blocco di marmo destinato alla realizzazione del Tempo fu venduto dagli eredi. La statua, invece, fu vincolata da Bernini con un fidecommesso che l’avrebbe tramandata agli eredi primogeniti maschi, con divieto di alienarla. L’opera, nata come privato riscatto e auspicio di futura riabilitazione della memoria del suo operato, fu incaricata dal Bernini di tramandare un ammaestramento morale ai suoi discendenti: il tempo rende giustizia dei torti subiti. Conservata nella residenza di famiglia in via della Mercede fino al 1858, passò poi in quella di via del Corso dove rimase fino al 1924. In quell’anno fu posta in deposito dagli eredi nella Galleria Borghese, da cui fu acquistata nel 1957 (Bernardini 2015, pp. 35-36).
La fanciulla, nuda e con un’espressione sorridente, è seduta su un masso roccioso a ridosso di un panneggio che oltre a coprirne il pube protegge il suo corpo dal contatto con la roccia. La figura è atteggiata in un aggraziato dinamismo; con lo sguardo aperto rivolto verso l’alto, tiene nella mano destra un disco solare con volto umano, simbolo del potere della verità di far luce sulle cose, e poggia la gamba sinistra sul globo terrestre, secondo un’iconografia canonizzata nella celebre Iconologia di Cesare Ripa (1603) e ampiamente nota. La personificazione del Tempo sarebbe stata sostenuta in aria puntellata da colonne, obelischi e mausolei in rovina, ad aggiungere un’allusione alla caducità delle cose terrene alla definizione del suo ruolo di scopritore della verità.
L’incarnato della Verità è stato levigato e lucidato con materiali abrasivi su quasi tutta la superficie al punto da far sembrare che la figura stessa emani luce. In occasione del restauro del 1997 sono stati rinvenuti consistenti tratti a carboncino relativi ai percorsi da seguire con lo scalpello, disegnati da Bernini direttamente sulla pietra (Herrmann Fiore, in Gian Lorenzo Bernini, 1999, p. 30). Sulle parti della scultura portate a un diverso grado di compimento, quali il drappo, il masso, il globo, rimane traccia degli strumenti di lavorazione usati dall’artista.
Del gruppo scultoreo sono noti numerosi disegni autografi (Lipsia, Museum der Bildende Künste; Parigi, Musée du Louvre), che testimoniano diverse fasi progettuali: in essi si può vedere come siano cambiate sia l’inclinazione della figura della Verità sia la superficie su cui è seduta (Bernini aveva pensato anche ad un grosso globo) e si può intravedere la sagoma del Tempo, barbuto e con la falce in mano. Sono conservati anche alcuni bozzetti in terracotta variamente attribuiti a Bernini (Russo, in Bernini in Vaticano, 1981, pp. 121-122).
Nella figura della Verità sono stati individuati legami con l’incompiuta Allegoria della Virtù di Correggio (Antonio Allegri), conservata oggi alla Galleria Doria Pamphilj di Roma (De Marchi, in Correggio e l'antico, 2008, pp. 126-129).
Sonja Felici
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